· Città del Vaticano ·

La Parola di Dio non può essere usata per giustificare guerre e occupazioni

Leggere la Bibbia dopo la distruzione di Gaza

 Leggere la Bibbia dopo la distruzione di Gaza  QUO-182
07 agosto 2025

di David Neuhaus

Insegno la Bibbia in Palestina/Israele da venticinque anni, per lo più a seminaristi cattolici di lingua araba, religiosi e religiose e insegnanti di religione. Ho anche insegnato la Bibbia a ebrei in Israele in ebraico, a studenti rabbinici, a guide turistiche e persone comuni desiderose di approfondire la propria educazione. È una missione per la quale sono particolarmente grato e che mi riempie ancora di entusiasmo ed emozione. Tuttavia, è una missione che a volte mi riempie anche di paura e tremore. Pur essendo molto grato di vivere in un tempo in cui la Chiesa è più consapevole, più sensibile e più prudente su come la Bibbia va usata nell’insegnamento cristiano — profondamente pentita per come è stata utilizzata quale arma contro l’ebraismo e gli ebrei — so che c’è ancora molto lavoro da fare rispetto a quanti subiscono le conseguenze di letture bibliche distorte.

La cosa più urgente per me, nel mezzo di un conflitto che contrappone Israele alla Palestina in una guerra sanguinaria che ha lasciato Gaza in rovina e ridotto la sua popolazione alla fame, è: come dovrei avvicinarmi al piano d’amore di Dio per l’umanità nella Bibbia, un piano che include l’elezione di Israele, il dono della terra e l’annientamento dei popoli che abitano quella terra? Come posso leggere la parola che i cristiani acclamano come Parola di Dio, «soltanto nelle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità, non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo sterminio: cioè gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare» (Deuteronomio, 20, 16-17). Non sarebbe forse meglio riporre la Bibbia in un ripostiglio e trovare altre risorse per sviluppare la vita spirituale, il comportamento morale e la leadership religiosa? O, quantomeno, non si dovrebbero censurare le parti più problematiche della Bibbia? Essa può essere, e lo è stato, un libro pericoloso, non solo per molti in Medio Oriente oggi ma anche per molti altri nel corso di lunghi secoli di storia.

Il 7 gennaio 1937 David Ben Gurion, capo dell’Agenzia ebraica nella Palestina sotto mandato britannico (un Governo ombra che prefigurava l’istituzione dello Stato di Israele), parlò davanti alla Commissione Peele che stava cercando di risolvere le problematiche del mandato britannico in Palestina, coinvolto nel conflitto tra ebrei e arabi. Contestando il concetto stesso di “Mandato britannico per la Palestina”, istituito dopo la Prima guerra mondiale, Ben Gurion dichiarò: «A nome degli ebrei, dico che la Bibbia è il nostro Mandato, la Bibbia che è stata scritta da noi, nella nostra lingua, in ebraico, proprio in questo Paese. Questo è il nostro Mandato. Il nostro diritto è antico quanto il popolo ebraico» (https://www.scribd.com/document/287215993/Ben-Gurion-Testimony-to-Peel-Commission). Nel 1958, dieci anni dopo l’istituzione dello Stato di Israele, Ben Gurion, allora primo ministro, inaugurò il primo Concorso mondiale di Bibbia a Gerusalemme. Poco dopo istituì un circolo regolare di studi biblici, a cui partecipava con assiduità. Il gruppo iniziò i suoi lavori con il libro biblico preferito di Ben Gurion, Giosuè, che egli considerava assolutamente fattuale. Per lui era il modello storico per la conquista della Terra della Bibbia da parte del Popolo della Bibbia, allora come adesso.

Ben Gurion non era un ebreo religioso e la sua fede in Dio era offuscata dalla sua fede nella nazione “ebraica”, un concetto che derivava dalla sua avida lettura della Bibbia. Inoltre rifiutava esplicitamente le tradizioni religiose del popolo ebraico sviluppatesi nel corso dei secoli negli scritti rabbinici raccolti nel Talmud. In quanto nazionalista “ebraico”, vedeva la Bibbia come il vertice letterario e spirituale ultimo ed eterno degli ebrei nella loro terra, mentre considerava gli scritti rabbinici, il Talmud, una raccolta secondaria, creata in esilio e destinata a svanire con il tempo. Il biblicismo di Ben Gurion (una lettura secolare della Bibbia utilizzata come tesoro di terminologia e mitologia nazionalista) fu determinante nella storia iniziale dell’attività sionista in Palestina. Anche se duramente criticata da intellettuali ebrei religiosi di Israele come Martin Buber e Yeshayahu Leibowitz — entrambi profondamente consapevoli delle inquietanti questioni morali sollevate dalle conquiste militari di Israele, dalla pulizia etnica dei territori israeliani dai palestinesi e dalla radicata discriminazione contro i cittadini arabi nello Stato di Israele — la versione del sionismo di Ben Gurion dominava.

L’attuale primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, è un erede del lascito di Ben Gurion di utilizzare la Bibbia allo scopo di legittimare e consolidare ulteriormente l’occupazione. All’inizio della guerra a Gaza, il 28 ottobre 2023, Netanyahu ha descritto i soldati israeliani come «desiderosi di ripagare gli assassini per gli atti orribili perpetrati contro i nostri figli, le nostre donne, i nostri genitori e i nostri amici. Sono impegnati a sradicare questo male dal mondo, per la nostra esistenza e, aggiungo, per il bene di tutta l’umanità. L’intero popolo e i suoi leader li abbracciano e credono in loro. “Ricorda ciò che ti ha fatto Amalek”». La sua citazione di Deuteronomio, 25, 17 è stata un agghiacciante promemoria di come la Bibbia possa essere usata per promuovere guerra e odio. Amalek, descritto in Esodo, 17, è il nemico archetipico degli Israeliti, e a essi viene ordinato di sterminare lui e i suoi discendenti. Netanyahu, i suoi alleati, il movimento dei coloni israeliani e coloro che commettono atti di violenza contro i palestinesi attingono continuamente dal lessico biblico che giustifica i loro atti che producono morte e distruzione.

Non c’è nulla di nuovo nell’abuso ideologico dei testi sacri. “Mobilitare” un’idea di Dio e narrazioni sacre che parlano di Dio aggiunge autorità alle ideologie di dominio e di esclusione create dall’uomo. Ciò fa sì che la Bibbia sia mal vista tra coloro che lottano per la libertà, l’uguaglianza e la fraternità. Tuttavia, per i cristiani, la Bibbia fornisce le parole per parlare di Dio, della persona umana e della relazione che si instaura tra i due. Fornisce un vocabolario, una grammatica, una sintassi, secondo cui i cristiani possono cercare di dire Dio. La narrazione biblica delinea una storia delle origini, dell’attualità e della speranza che inserisce i credenti in una lunga storia dell’umanità in cui possono trovare senso, vocazione e una missione in un mondo in cerca di redenzione. Eppure, come tutti i tesori, il fatto di appropriarsene comporta anche dei rischi.

Nel 1994 il patriarca latino di Gerusalemme, Michel Sabbah, ha pubblicato uno strumento fondamentale per i lettori della Bibbia durante questo periodo di conflitto in Palestina/Israele, Leggere e vivere la Bibbia oggi nel Paese della Bibbia (Michel Sabbah, Reading the Bible Today in the Land of the Bible, Gerusalemme, Patriarcato latino, 1993). La prefazione a questa sua lettera pastorale è un versetto che costituisce una chiave ermeneutica cristiana per la lettura della Bibbia: «Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione, annullando nella sua carne l’inimicizia […] per creare in sé stesso dei due un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio» (Efesini, 2, 14-16). In questa lettera, Sabbah pone una domanda toccante a coloro che leggono la Bibbia in Palestina oggi: «Dobbiamo forse essere vittime della nostra stessa storia della salvezza, che sembri privilegiare il popolo ebraico e condannare noi? È proprio questa la volontà di Dio, alla quale dovremmo piegarci inesorabilmente, senza appello e senza discussione, e che ci chiederebbe di lasciare tutto a favore di un altro popolo?» (n. 7c).

Rivolgendosi a quanti hanno rifiutato la Bibbia a causa del modo in cui viene letta per giustificare l’occupazione e la discriminazione, Sabbah dice: «Con questo rifiuto della parola di Dio, cari fedeli, voi vi fate complici e vittime di quelli che accusate, e, essendo già stati spogliati della terra, vi lasciate spogliare anche della vostra Sacra Scrittura e della luce che essa contiene per aiutarvi a uscire dall’oscurità e a superare ogni difficoltà» (n. 56). Verso la fine della lettera, Sabbah conclude: «Leggere e vivere la Bibbia, oggi nella terra della Bibbia, è una grazia e una sfida. Una grazia, perché ogni giorno camminiamo con lo stesso Gesù sulle stesse strade per le quali Egli ha camminato con i suoi discepoli, come compagno e amico. Una sfida perché oggi, in questa terra di conflitto, sperimentiamo sofferenze che sono al centro del nostro colloquio con il Signore. E il Signore, che ci fa ardere il cuore quando ci parla (cfr. Luca, 24, 32) lungo il nostro cammino di pellegrini, “apre il nostro cuore alla comprensione delle Scritture” e ci aiuta a discernere, nella comprensione della nostra storia, la volontà del Padre» (n. 64).

I cristiani devono essere consapevoli che concetti come “popolo eletto” e “terra promessa” hanno conseguenze esistenziali e morali molto concrete per i popoli del Medio Oriente e non sono solo esercizi speculativi e teologici. In linea con queste preoccupazioni, la Santa Sede ha sottolineato l’importanza del diritto internazionale, piuttosto che del discorso biblico, per comprendere il conflitto in Palestina/Israele. I cristiani sono invitati a comprendere il legame religioso ebraico alla terra d’Israele «che affonda le sue radici nella tradizione biblica pur non dovendo far propria un’interpretazione religiosa particolare di tale relazione. Per quanto si riferisce all’esistenza dello Stato di Israele e alle sue scelte politiche, esse vanno viste in un’ottica che non è di per sé religiosa ma che si richiama ai principi comuni del diritto internazionale» (Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, Sussidi per una corretta presentazione degli ebrei e dell’ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica, 1985, VI, 1).

In definitiva la Bibbia letta con fede, amore e carità si rivela come Parola viva di Dio. In Palestina/Israele oggi la Bibbia viene usata per legittimare e giustificare guerre, occupazione e discriminazione. Accanto alla Bibbia, il Corano, la sacra scrittura dei musulmani, viene “mobilitato” nelle lotte politiche sul destino della Terra Santa e su chi dovrebbe governarla. Tuttavia la Dei verbum, la costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla divina rivelazione, sottolinea che «la sacra Scrittura [deve] esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta» (n. 12). Discernere questo Spirito, anche secondo l’autentica interpretazione affidata al magistero (n. 10), è quindi parte essenziale della lettura della Bibbia. In sostanza, la Bibbia letta come Parola di Dio insegna uguaglianza, giustizia e pace, valori che sono in sintonia con il Dio che impariamo a conoscere nella lettura della Bibbia da parte della Chiesa.