
Tokyo, 6. «Sul Monte Tabor la luce ha rivelato la nostra chiamata a condividere in eterno la gloria divina come figli e figlie del Padre; a Hiroshima, la luce ha portato distruzione, oscurità e morte inimmaginabili». Con queste parole il cardinale Blase Cupich, arcivescovo di Chicago, ha aperto l’omelia della messa per le vittime della bomba atomica, celebrata questa mattina a Hiroshima, nel giorno in cui la Chiesa celebra la Trasfigurazione del Signore e nell’ottantesimo anniversario di quell’esplosione che cambiò per sempre il volto della storia umana.
Nel cuore della sua omelia, il cardinale Cupich ha contrapposto «la luce che sfolgorò sul Monte Tabor» alla «luce accecante» che devastò Hiroshima: «Sul Tabor — ha detto — Gesù si mostrò ai discepoli come il Signore della storia, e il Padre proclamò dal cielo: “Questi è il Figlio mio prediletto… ascoltatelo”. Ma qui, ottant’anni fa, una diversa luce discese dal cielo: una luce di distruzione, che gettò il mondo in un silenzio devastante». Per il porporato, questo contrasto ci costringe a guardare in faccia la verità: «Quando ignoriamo la visione del Tabor, quando chiudiamo l’orecchio alla voce di Dio che ci chiama all’amore fraterno, finiamo per aprire la strada all’odio e alla devastazione».
Richiamando le parole di Papa Francesco, pronunciate nello stesso luogo nel 2019, Cupich ha ribadito quelli che lui chiama i «tre imperativi morali» per custodire il futuro dell’umanità: ricordare, camminare insieme e proteggere. «Ricordare — ha sottolineato — significa impedire che il dramma di Hiroshima cada nell’oblio. Significa trasmettere alle generazioni future la memoria degli hibakusha, quei sopravvissuti che, con la loro testimonianza, hanno gridato per decenni “mai più”». Ma la memoria, ha aggiunto, non può essere solo storica: «Come Gesù che conversa con Mosè ed Elia sul monte, siamo chiamati a inserire i nostri drammi dentro il disegno salvifico di Dio, che abbraccia le origini e punta al giorno in cui il Figlio dell’Uomo riunirà tutti i popoli e le lingue. Abbiamo bisogno di una memoria viva che risvegli le coscienze e sappia dire a ogni generazione: mai più!».
Per Cupich, la risposta cristiana richiede di «generare reazioni a catena di pace e di riconciliazione, camminare insieme come popolo in esodo, accantonando nazionalismi e rivalità, ascoltando le storie degli altri e costruendo una mensa dove nessuno sia escluso». L’arcivescovo di Chicago ha sottolineato anche il contributo della Chiesa al bene comune: «La nostra esperienza sinodale — ha detto — offre al mondo un esempio concreto: imparare ad ascoltarci, a dialogare, a rispettarci. È questo il cammino verso la pace e, insieme, verso la liberazione interiore».
Infine, il cardinale ha affrontato il terzo imperativo: proteggere. «In un mondo segnato da una guerra mondiale combattuta “a pezzi” — ha ricordato — non c’è sicurezza per nessuno finché la pace manca anche in un solo angolo della terra». Dopo aver richiamato l’immagine evangelica dei discepoli «avvolti dalla nube sul monte» per indicare il senso più profondo di questa protezione, Cupich ha chiuso il suo intervento con un invito che è insieme impegno e missione: «Ottant’anni fa il mondo ha visto l’allarmante abuso dell’ingegno umano piegato alla distruzione. Oggi, qui a Hiroshima, siamo chiamati a usare quell’ingegno per proteggerci e costruire cammini di pace. Questa festa della Trasfigurazione è cambiata per sempre ottant’anni fa. Che possiamo restare saldi nel raccontare al mondo il perché» (sara costantini)