· Città del Vaticano ·

Ore cruciali
per il destino di Gaza

An Israeli army infantry-fighting vehicle (IFV) leaves a cloud of dust as it moves at a position ...
05 agosto 2025

Una decisione che sgomenta e allarma, ma — purtroppo — non sorprende. Il gabinetto di sicurezza israeliano, convocato per oggi da Benjamin Netanyahu, dovrebbe formalizzare nelle prossime ore il “piano” di occupazione di Gaza, fatto filtrare ieri sera da fonti qualificate dell’ufficio dello stesso primo ministro, riprese da diversi media locali, tra cui Channel 12 e Ynet.

Che il governo avesse l’intenzione di riportare il territorio della Striscia a uno status simile a quello della Cisgiordania, così com’era stato tra il 1967 e il 2005, era nell’aria da mesi. Ai primi di maggio, dopo la rottura della tregua con Hamas avvenuta in marzo, il progetto di un’invasione massiccia Netanyahu lo aveva dichiarato con un video su X, mentre l’Idf intensificava pesantemente le operazioni militari sul territorio. Del resto, le pressioni e i proclami in tal senso, in particolare da parte dei ministri dell’ultradestra religiosa estremista, Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, sono stati costanti in tutti questi 23 mesi di guerra.

Ora però la “svolta” — per la quale i media israeliani hanno evidenziato «un notevole cambio di tono» — è stata data per presa: «Israele occuperà la Striscia». Perché, è la convinzione di Tel Aviv, «Hamas non rilascerà altri ostaggi senza una resa totale. Se non agiamo adesso, i rapiti moriranno di fame» e il territorio «resterà sotto il controllo dei terroristi». Per questo, le anticipazioni prevedono anche attacchi nelle aree «dove si trovano gli ostaggi». Il via libera, sostiene Ynet, sarebbe arrivato a Netanyanu dallo stesso alleato americano, il presidente degli Usa, Donald Trump, perché anche da Washington «sono giunti alla conclusione che Hamas non voglia un accordo».

La riunione di questa sera tra i massimi responsabili della sicurezza nazionale vedrà la presenza, oltre ai ministri Israel Katz (Difesa), e Ron Dermer (Affari strategici), anche del capo di Stato maggiore dell’Idf, Eyal Zamir. Ad essi Netanyahu presenterà il piano, che prevederebbe la conquista della Striscia, la sconfitta militare di Hamas e la liberazione con la forza degli ostaggi, con un’opinione pubblica però ancora sotto choc per la pubblicazione da parte di Hamas dei video dei due ostaggi ventenni, Evyatar David e Rom Breslavski, ridotti pelle e ossa, all’interno di tunnel sotterranei.

Proprio sulla posizione di Zamir è durissimo lo scontro dentro il governo e l’entourage del premier. Alle difficoltà di un’operazione di conquista dell’enclave palestinese, che Zamir ha sottolineato con decisione («Ci vorrebbero anni», ha detto, con il rischio di mettere in pericolo la vita dei sequestrati ancora detenuti dagli islamisti), è stato opposto, ha rivelato la fonte del leak sull’occupazione, un secco «se al capo di Stato maggiore non va bene, che si dimetta». Il figlio del primo ministro israeliano, Yair Netanyahu, ha scritto su X un post contro Zamir, accusandolo addirittura di «architettare un colpo di Stato». A contribuire alla polemica, poco prima di questa uscita, era stato anche Yossi Yehoshua, corrispondente militare di «Yedioth Aharonoth»: «Se Netanyahu è interessato a prendere la decisione davvero drammatica e divisiva per l’opinione pubblica israeliana deve presentarsi al popolo, chiarire il prezzo previsto per le vite degli ostaggi e dei soldati che cadranno e dichiarare di assumersi la piena responsabilità, nonostante l’opposizione dell’Idf», aveva detto suscitando la reazione del figlio di Netanyahu.

Ma la tensione nella politica interna israeliana ha superato i livelli di guardia. Perché oltre al capo dell’Idf, tra coloro che preferirebbero continuare gli sforzi per un accordo di cessate-il-fuoco, che a questo punto è a un punto morto, figurerebbero anche il ministro degli Esteri, Gideon Sa’ar, il consigliere per la sicurezza nazionale, Tzachi Hanegbi, il capo del Mossad, David Barnea, il negoziatore dello Shin Bet e l’incaricato della supervisione del fascicolo sugli ostaggi per conto dell’esercito, Nitzan Alon. Soprattutto — ed è una notizia clamorosa — è la gran parte dell’establishment israeliano a rivoltarsi contro il premier. Decine di ex capi del Mossad, dello Shin Bet e dell’Idf, molti dei quali hanno fatto la storia del Paese degli ultimi decenni, hanno chiesto in un video la fine della guerra, mentre la Bbc rilancia una lettera che 600 ex funzionari israeliani della sicurezza hanno scritto a Trump chiedendo un sostegno per la «fine della guerra», perché «è nostra convinzione professionale che Hamas non rappresenti più una minaccia strategica », dicono.

Il governo israeliano, intanto, ha votato all’unanimità il licenziamento della procuratrice generale, Gali Baharav-Miara, dopo un lungo braccio di ferro con Netanyahu, anche legato al caso delle tangenti dal Qatar che avrebbe coinvolto l’entourage del premier. La decisione è stata però al momento sospesa dalla Corte suprema in attesa dell’iter dei ricorsi presentati dal partito di opposizione Yesh Atid e alcune Ong. (roberto paglialonga)

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