· Città del Vaticano ·

A tre anni e mezzo dall’inizio del conflitto migliaia di giovani dall’Ucraina a Roma per il Giubileo

Lo spirito di unità della Chiesa salva gli ucraini dalla disperazione della guerra

epa12274453 Rescuers work at the site of a Russian strike on a nine-storey residential building in ...
02 agosto 2025

di Svitlana Dukhovych

Arrivare a Roma, nonostante tutto. Nonostante lo spazio aereo chiuso sin dall’inizio dell’invasione russa, nonostante gli allarmi antiaerei e gli attacchi durante il viaggio con autobus o treni, e nonostante le soste forzate al confine, bloccati anche per più di 10 ore. I giovani dell’Ucraina, nonostante tutto questo, non hanno voluto mancare l’appuntamento con il Giubileo a loro dedicato, continuando però a vivere la preoccupazione per le famiglie e per gli amici rimasti a casa.

«Il Giubileo dei giovani — spiega ai media vaticani monsignor Maksym Ryabukha, esarca greco-cattolico di Donetsk, al fianco dei ragazzi nella trasferta romana — per questi ragazzi ucraini è anche un tempo di incontro con chi dice loro: “Vi sosteniamo, e con voi aspettiamo e speriamo nella pace”». «Lì dove viviamo — afferma —, dove quotidianamente esplodono bombe, si viene schiacciati dall’ingiustizia che viene perpetrata contro la vita umana. Ecco che per loro è importante incontrare qualcuno che sappia indicare le ragioni di vita, trovando Dio si riesce anche a condividere questo incontro con gli altri. Molti dei giovani che sono qui arrivano da zone di guerra, dove è impossibile vivere l’esperienza di dormire nella propria casa, perché ci sono i droni che uccidono, che fanno esplodere le case, le macchine. Molti quindi, assieme alle loro famiglie, al calare del sole, si spostano in campagna, nei prati, lungo i fiumi. È una vita difficile, che ti fa sentire impotente». Di fronte a questo dramma, prosegue Ryabukha, «essere qui vuol dire anche sperimentare la dignità della vita. Ti accorgi che la vita c'è, che c’è qualcuno con cui poter condividere il dolore, la disperazione, i sogni, il desiderio di crescere e di costruire».

Ad accompagnare i ragazzi a Roma è anche monsignor Vitaliy Kryvytskyi, vescovo della diocesi romano-cattolica di Kyiv-Zhytomyr. «Vorrei davvero poter incontrare tutti e stare con loro, perché loro oggi rappresentano tutta la nostra Chiesa e l'Ucraina». Monsignor Kryvytskyi racconta che per alcuni vescovi di altri Paesi è stato difficile credere che un così gran numero di giovani ucraini sia riuscito ad arrivare a Roma. «La gente pensa che, dato che siamo in guerra, viviamo come se fossimo congelati, che dato che viviamo altri problemi, e che per noi non sia una priorità, oggi, la necessità di unirsi alla Chiesa tutta. Il fatto che siamo qui dimostra, invece, che per noi è fondamentale essere in unione con tutta la Chiesa, parlare di ciò che stiamo vivendo oggi in Ucraina e delle sfide che affrontiamo. E che quindi è importante per noi esortare la Chiesa a parlare di ciò che sta realmente accadendo in Ucraina».

Con la tristezza negli occhi, il vescovo ricorda che la notte tra il 30 e il 31 luglio nell’attacco russo su Kyiv, hanno perso la vita almeno 31 persone, tra cui 5 bambini. «Noi stiamo qui, — dice — anche per dire tutta la verità e per esortare le persone, i giovani, a non tacere, ma ad impegnarsi per una pace giusta in Ucraina e in altre parti del mondo».

Durante tutto il periodo di guerra, la Chiesa in Ucraina è rimasta accanto alle persone, in particolare i giovani, fornendo sostegno sotto forma di aiuti umanitari. Tra le sfide della pastorale in tempo di guerra vi è anche la ricerca di un modo per coltivare la speranza. «Il fatto che quest’anno sia dedicato alla speranza — prosegue monsignor Kryvytskyj — mi sembra che sia un segno della divina provvidenza. Ed è ciò di cui l’Ucraina ha bisogno, perché arrivati a tre anni e mezzo di conflitto, molte persone, persino chi si è sempre definito cristiano, stanno perdendo la speranza. Spesso, dopo aver pregato ripetutamente senza ricevere risposta dal Signore, si arrendono, dicendo: forse Dio non ascolta le nostre preghiere o forse Dio non esiste affatto? Quindi, quest'anno, riflettendo sulla parola speranza, abbiamo la possibilità di resistere davvero in questi tempi difficili».

La speranza è ciò che mantiene viva la fede che, prosegue Kryvytskyi, «durante la guerra ha raggiunto livelli completamente nuovi, perché non è solo l’ipotesi che qualcuno sia là fuori da qualche parte, ma è un rapporto speciale in questa situazione critica». «Mi aiuta il senso di unità della Chiesa, – conclude – che si vive quando, anche qui, qualcuno ci assicura di pregare sempre per noi. Le persone ci telefonano, ci scrivono, ci dicono che, nonostante tutto, continuano a essere accanto a noi. Ecco, questo spirito di unità della Chiesa è quello che salva i nostri giovani dalla disperazione e dalla stanchezza che tutti noi proviamo».