
di Daniele Piccini
Alle ore 10.30 la “meglio gioventù” di Leone XIV è già schierata e riempie la spianata di Tor Vergata. I posti migliori, quelli da dove sarà possibile vedere il Papa più da vicino, sono ormai tutti occupati.
I pellegrini che stanno partecipando in questi giorni al Giubileo dei giovani devono attendere ancora qualche ora prima di incontrare il Pontefice stasera, sabato 2 agosto, nella Veglia di preghiera che inizia alle 20.30. Poi trascorreranno qui la notte, nei loro sacchi a pelo, per essere già pronti per la messa di domani mattina.
Moltissimi tra loro sono arrivati con la metropolitana fino alla fermata Anagnina della linea A. Impazienti, già da lì hanno iniziato a sventolare le bandiere dei propri Paesi, intonandone gli inni e innalzando preghiere. Sulle spalle, le magliette colorate dei “pellegrini di speranza”.
Quindi si sono avviati, sotto il sole estivo di Roma, già inclemente dalle prime ore del mattino, verso Tor Vergata, in autobus o a piedi.
Viale Luigi Schiavonetti, il lungo stradone che conduce al più importante polo commerciale del quartiere, oggi non è occupato dalle macchine in coda per gli acquisti del sabato, ma da un serpentone di giovani, “armati” di materassini da campeggio, cappellini, bandiere, trombe, tamburi. Cannoni che vaporizzano acqua fresca, disposti lungo il percorso, offrono un po’ di refrigerio.
Quando finalmente si intravede la sagoma dell’enorme palco su cui il Papa pregherà e spezzerà il pane dell’Eucaristia, i ragazzi e le ragazze in cammino non possono non liberare un grido di sollievo e di gioia.
Sulla spianata di Tor Vergata, la fantasia si pone all’opera per creare il miglior bivacco possibile, per sé e per il proprio gruppo. Teli incerati e ombrelli legati alle transenne per fare ombra, la più ampia possibile. Asciugamani da mare, occhiali da sole e creme solari si vedono un po’ ovunque: sdraiati al sole alcuni ingannano il tempo così.
Striscioni con i nomi della diocesi, della città, del gruppo parrocchiale o della comunità di appartenenza sono gli oggetti che fanno compagnia nello spazio sconfinato che si estende tra la vela di Calatrava e i colli dei Castelli Romani: aiutano questi giovanissimi, alcuni forse alla prima esperienza lontani dai genitori, a sentire casa un po’ più vicina. La casa del trentacinquenne don Xavier Romero è dall’altra parte dell’oceano Atlantico, a Quito, in Ecuador. Venire a Roma però è valsa la pena, la posta in gioco è altissima. «Qui la Chiesa si incontra con tutto il mondo. La gioventù di oggi ha bisogno di speranza, di pace e di amore. Noi siamo venuti per conquistare la felicità, quella vera», spiega il sacerdote ai media vaticani. Accompagna un gruppo di giovani dell’Ecuador che sventolano la bandiera gialla, blu e rossa, del loro Paese.
Il richiamo di un Pontefice che, come Leone XIV, ha sperimentato da presbitero, missionario e vescovo, la Chiesa sudamericana, è stato irresistibile. «Il Papa conosce la nostra realtà e la sua visione per noi è molto importante. Il nostro Paese vive situazioni di violenza e delinquenza. A volte è pericoloso e abbiamo estremo bisogno di pace. Per questo — conclude don Romero — pregheremo per i giovani ecuadoriani e di tutto il mondo».
La casa di Marina Igelspocher, ventottenne tedesca, non è invece poi così lontana. È arrivata nell’Urbe da Augusta, in Baviera, unendosi al gruppo Jugend 2000 (Gioventù 2000). A volte però non è solo la distanza chilometrica a separare. «Sono venuta al Giubileo dei giovani con mia sorella Julia perché mi piace vivere la fede con gli altri, per la strada. Amo i canti con la chitarra, creare una bella atmosfera e vivere momenti profondi di fede con il mio gruppo», confida la ragazza con spigliatezza. «Essere qui ed incontrare il Papa non è poi qualcosa che capita tutti i giorni. I giovani della Germania spesso sono vittime di una sorta di impedimento interiore. Ciò che per altre culture è normale, uscire dal proprio guscio e mischiarsi con gli altri, nel mio Paese, dove in generale si è un po’ timidi, è culturalmente difficile da raggiungere. Non siamo così abituati a vivere la fede così, pubblicamente». «Qui invece — conclude la giovane tedesca — mi aspetto che dalla singola persona e dalla condivisione con altre persone, anche se non si conoscono, possano nascere cose belle».
Il compito di Aldemir Neto, 29 anni del Brasile, che lavora dell’ufficio comunicazione della comunità Shalom e come produttore presso la web tv Rede Viva, è proprio quello di accendere, con i suoi video, questa scintilla e portare un pezzetto di Giubileo dei giovani ai ragazzi del suo Paese che non sono potuti venire. «Mi aspetto che questo fine settimana con Leone XIV rafforzi la fede di tanti coetanei che stanno vivendo questo Anno Santo, che cambi la loro vita. Vorrei che, tornando a casa, diffondessero il Vangelo. Ma sin da ora, tanti giovani di così tanti Paesi tutti insieme, possono trasmettere al mondo, soverchiato da tanti conflitti e da tante problematiche, un messaggio di speranza».
È proprio questo che custodiva nel cuore la ventitreenne Sofiya Rovenchuk venendo qui, a Tor Vergata. Nata in Ucraina, si è trasferita in Italia quando aveva sei anni. Ora vive a Borgomanero, in provincia di Novara, come si legge sullo striscione colorato, appeso alla transenna di metallo accanto a lei. Con il suo gruppo, tutti in maglia azzurra, ha pacificamente occupato una grande parte di prato.
«I miei parenti sono ancora in Ucraina. Quello che sta succedendo nel mio Paese [devastato dal conflitto esploso a febbraio 2022 n.d.r.] mi ferisce nel profondo del cuore. Spero davvero che tutti questi giovani che mi circondano, che rappresentano il futuro del mondo, possano far capire a tutti che le guerre non servono a nulla, se non a distruggere la speranza e la vita delle persone». (daniele piccini)