· Città del Vaticano ·

Cinquant’anni fa la Conferenza che pose i pilastri del dialogo tra est e ovest
all’insegna del rispetto dei diritti umani

Recuperare lo spirito
di Helsinki per rilanciare
il ruolo della diplomazia

 Recuperare lo spirito di Helsinki per rilanciare il ruolo della diplomazia  QUO-177
01 agosto 2025

di Stefano Leszczynski

Uno spirito aleggia ancora sull’Europa e, nonostante tutto, continua ad ispirare in molti governanti l’impegno politico e morale per la pace. È lo spirito di Helsinki evocato proprio da Papa Leone XIV, al termine dell’udienza generale di questa settimana, ricordando come oggi più che mai sia indispensabile custodirlo per «perseverare nel dialogo, rafforzare la cooperazione e fare della diplomazia la via privilegiata per prevenire e risolvere i conflitti».

Oggi, l’Europa celebra il 50° anniversario degli Accordi – noti anche come Atto finale di Helsinki – che nel 1975 stabilirono l’inviolabilità dei confini e la risoluzione pacifica dei conflitti nelle relazioni internazionali. Principi messi a dura prova dall’invasione russa su larga scala dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022.

All’epoca, la firma del documento da parte di 35 Paesi dei blocchi occidentale e orientale, tra cui gli Stati Uniti e l’allora Unione Sovietica, si tenne durante la Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa nella capitale finlandese. Sulla carta, l’intesa resta tutt’ora un baluardo delle relazioni tra Stati all’insegna del diritto internazionale e della collaborazione.

Fu da quel contesto di aspirazione alla convivenza pacifica che prese forma in seguito, nel 1995, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce), che con 57 Stati membri e una serie di strutture e missioni divenne un elemento importante delle relazioni internazionali nella regione dopo la Guerra Fredda.

Per celebrare il 50° anniversario degli Accordi di Helsinki, la Finlandia ha ospitato ieri una conferenza internazionale che ha visto tra i relatori principali il presidente ucraino Volodymyr Zelensky — collegato da remoto — e il segretario generale dell’Onu, António Guterres. Tra i principali temi sul tavolo questa volta a dominare sono stati: il rafforzamento della pressione su Mosca, il coordinamento tra Ucraina e Finlandia nel contrasto all’aggressione russa, le riforme dell’Osce e del sistema di sicurezza europeo, il potenziamento della capacità difensiva di Kyiv.

La Conferenza del 1975 è considerata a ragion veduta uno degli eventi storici più importanti nel processo di distensione dei rapporti est-ovest e i principi che ne sono derivati hanno saputo reggere di fronte a eventi straordinari come la fine dell’Unione Sovietica, la dissoluzione concordata della Cecoslovacchia, la caduta del Muro di Berlino e la riunificazione tedesca o la tragica disintegrazione dell’ex Jugoslavia. «Tante cose da allora sono cambiate, — ricorda Antonio Stango, fondatore del Comitato Italiano Helsinki e presidente della Federazione Italiana diritti umani — ma non sempre in meglio. Tant’è che a 50 anni di distanza sembra che l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, scaturita da quell’evento storico, oggi quasi non abbia più motivo di essere. Non perché i suoi principi e ideali non siano più validi, ma perché gli strumenti di cui si è dotata l’Osce vengono regolarmente inficiati dall’azione di alcuni Stati membri».

E a tal proposito vale la pena ricordare che la Russia, seppure si sia ritirata nel 2023 dall’Assemblea parlamentare dell’organizzazione, è rimasta membro dell’Osce a pieno titolo. «In realtà utilizza questa sua appartenenza — fa notare Stango — per bloccare l’agenda delle diverse istanze dell’organizzazione o il suo bilancio annuale, mentre uno dei pilastri di Helsinki era e dovrebbe tornare ad essere il perseguimento della pace attraverso il dialogo e la costruzione della fiducia tra gli Stati». Ma per costruire la fiducia servono alcuni ingredienti irrinunciabili. «Parte dello spirito di Helsinki, giustamente rievocato, – nota Stango – consisteva nello stabilire in modo molto netto che affinché vi fosse fiducia tra i partner, bisognava che gli Stati rispettassero i diritti dei propri cittadini e non violassero gli obblighi internazionali; i fondamenti della convivenza fra Stati».

«Ne consegue — chiosa Stango — che nel momento in cui uno Stato ne aggredisce un altro, ne viola i confini, ne annette delle parti e continua per anni una guerra, viene inficiato il lavoro di un tavolo multilaterale di sicurezza e cooperazione, anche se alcune delle sue strutture e missioni sul campo mantengono un ruolo positivo. Occorre dunque chiedersi come salvare quello spirito e come impostare – in un processo che richiederà tempo – una riforma organica dell’Organizzazione». Pensare a un rimodellamento dell’Osce non appare dunque in contrasto con l’essenza dello spirito di Helsinki, magari — come auspicava lo stesso Aldo Moro negli anni '70 — allargando ancor più lo sguardo ai rapidi mutamenti geopolitici che sconvolgono il Mediterraneo.