· Città del Vaticano ·

Giubileo dei giovani
Nel pomeriggio di ieri l’incontro organizzato dalla Cei e guidato dal cardinale presidente Zuppi

L’abbraccio e il grido di pace
dei ragazzi italiani

 L’abbraccio e il grido di pace dei ragazzi italiani  QUO-177
01 agosto 2025

di Antonella Palermo
ed Edoardo Giribaldi

«Sentitevi abbracciati questa sera da tutta la Chiesa che guarda con gioia, simpatia e fiducia la freschezza e la spontaneità della vostra vita». Nel pomeriggio di ieri, giovedì 31 luglio, il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), ha presieduto il rito di professione di fede con quarantamila giovani italiani riuniti per il loro Giubileo in piazza San Pietro. Una famiglia universale stretta nel cuore di Roma, e l’esortazione è stata a sentirsi tutti, tutti, tutti, inclusi, anche nel ricordo di Papa Francesco che «ci benedica dal Cielo». L’evento, intitolato “Tu sei Pietro” e organizzato dalla Cei stessa, è stato scandito dalla preghiera, dalle letture bibliche, dalle testimonianze di fede, ma soprattutto, dalla vicinanza spirituale ai tanti luoghi di guerra.

«L’umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all’umanità». Così ha scandito il porporato nell’omelia, dopo la proiezione del videomessaggio del patriarca di Gerusalemme dei Latini, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, e la lettura del racconto dell’evangelista Matteo in cui Gesù dà le chiavi del Regno di Dio all’apostolo Pietro. Perché la gioia è intrisa di apprensione per chi la gioia ogni giorno la vede scomparire a causa dei conflitti. E i due cardinali, a distanza ma intimamente uniti nella supplica a Dio, se ne sono fatti portavoce.

Il pensiero del presidente dei vescovi italiani è andato alle «croci costruite follemente dagli uomini che fabbricano armi per uccidere» e che «distruggono quello che fa vivere, anche gli ospedali. La Chiesa — ha lamentato — è sotto la croce con gli occhi pieni di lacrime e il cuore ferito per tanta enorme sofferenza, insopportabile per una madre come deve esserlo sempre per l’umanità tutta».

Il porporato ha poi ricordato le parole pronunciate da Leone XIV appena dopo l’elezione, quando ha chiesto una pace disarmata e disarmante. Da qui l’appello del cardinale arcivescovo di Bologna: «Disarmiamo i nostri cuori per disarmare cuori e mani di un mondo violento, per guarirne le cicatrici, per impedire nuovi conflitti!».

«È un mondo che accetta di nuovo come normale pensarsi l’uno contro l’altro o l’uno senza l’altro, che in modo dissennato non ha paura della forza inimmaginabile degli ordigni nucleari», ha ribadito ancora il presidente della Cei, preoccupato della logica di prevaricazione che ormai pare diventata assolutamente «normale» oggi. Per questo, il suo auspicio è che le comunità diventino case di pace, «piccole ma mai mediocri, grandi perché umili, libere perché legate dall’amore, capaci di lavorare gli uni per gli altri e di pensarsi insieme». Perché, ha precisato, anche le più piccole sono sempre grandi se dentro c’è il Signore. Volersi bene, ha concluso, «perché l’amore ripara, ripara tutto, sempre, molto più di quello che crediamo».

Dal canto suo, nel videomessaggio, il patriarca Pizzaballa ha espresso la complessità del momento e la fatica nel toccare con mano «in maniera inimmaginabile» la mancanza di cibo e medicine. La fame, ha detto, non è «una teoria».

Tuttavia, proprio sperimentando i danni della violenza in «una notte che non finisce mai», serve lo sguardo della fede, ha evidenziato il porporato: «Il dolore c’è e non si può negare» ma, proprio dentro questo dolore bisogna portare conforto e consolazione. E ha fatto l’esempio di tante persone che sono dei veri «punti di luce», anche a Gaza, in Israele, in tutta la Terra Santa. «In questo mare incredibile di sfiducia e di odio», ha scandito ancora il porporato, in tanti non ci si arrende puntando sul «noi insieme» e non su «io e nessun altro».

Anche perché c’è un associazionismo all’opera, ha sottolineato ancora Pizzaballa, sacerdoti, volontari instancabili, di tutte le fedi. «Come Chiesa dobbiamo essere lì, dentro tante difficoltà e incomprensioni, nel dialogo, nella discussione, anche dialettica se necessaria — ha ricordato il cardinale —, dobbiamo essere capaci, come i primi Apostoli, come Pietro, di portare una parola, un linguaggio che costruisce, che apre orizzonti, che crea occasioni di fiducia», perché la pace è ancora possibile, conclude il videomessaggio, basta volerlo, ovunque ci si trovi.

Tra i tanti giovani riuniti in piazza San Pietro, c’era anche Sara, 23 anni, di San Gimignano: ha raccontato il suo sentirsi «disorientata» e di come la fede sia «un ossigeno che fa respirare, tra le brutture del mondo». Toccante, poi, la testimonianza di Laura Lucchini, madre di Sammy Basso, biologo molecolare e attivista affetto da progeria, morto lo scorso 6 ottobre: «Sammy è sempre stato speciale, e non per la sua patologia ma per come ha vissuto questo tratto di vita», «senza mai recriminare sul “perché proprio a me”». La sua è stata una fede «vissuta nel concreto, sentita e ricercata quotidianamente come punto di partenza di ogni giornata e testimoniata con coraggio». E poi, la lezione più profonda, imparata da Lucia: «Sammy mi ha insegnato che questa vita altro non è che il passaggio che ognuno di noi deve compiere per arrivare alla vita vera, al cospetto di Colui dal quale tutto ha inizio, il Signore nostro».

«Se pò campà senza sape’ pecché, ma non se pò campà senza sape’ pecchì». Ovvero: si può vivere senza capire perché, ma non si può vivere senza sapere per chi si vive. Ha esordito così, in dialetto napoletano, don Antonio Loffredo: già parroco nel Rione Sanità, ai giovani in piazza San Pietro ieri ha raccontato la propria vocazione, nata dalla domanda che Gesù rivolge a Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». E come Pietro, anche lui ha risposto con il pudore di chi ama davvero: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Un incontro con un Dio «che non rimprovera e non offre lezioni», ma che «accende domande e chiama a cercare dentro di sé».

Ai diffidenti che dicevano «Nulla cambierà», don Loffredo ha risposto con l’esperienza concreta vissuta in un territorio difficile. Eppure, proprio lì un gruppo di adolescenti ha trasformato lo scetticismo in speranza, opponendosi alla rassegnazione per dare nuova forma a luoghi dimenticati: chiese abbandonate sono state trasformate in Comunità educative, in cui oggi fioriscono teatro, musica, pittura, canto, scultura. «Azioni che hanno opposto alla notte dell’inevitabile, la via della bellezza».

L’evento di ieri pomeriggio è stato aperto dal saluto del sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, il quale ha dedicato un «pensiero speciale» a Leone XIV «che guida con straordinaria passione questo appuntamento di fede così importante». Il primo cittadino ha quindi definito i giovani «la speranza di un futuro più bello e più giusto», esortandoli a parlare «un linguaggio che tocca il cuore di tutti gli uomini, di tutta l’umanità».