· Città del Vaticano ·

Viaggio in Perú sulle orme di Prevost
A Chulucanas nel nord Perú padre Robert Francis visse la prima esperienza di missione

Dove l’«agustino» divenuto Papa ha conosciuto
la «Chiesa dei poveri»

cernuzio.jpg
31 luglio 2025

di Salvatore Cernuzio

Un Cristo campesino — una scultura in bronzo con in testa il sombrero e vanga e falce a formare la croce —, si staglia nel cielo terso de La Encantada. Sormonta, quasi come se la vegliasse, un’altra statua: un uomo, un artigiano, che modella con le proprie mani lo stesso crocifisso e altre figure. Cagnolini, vasi, donne. Le rivoluzioni, la Teologia della liberazione e tutti i loro simboli qui c’entrano poco; è piuttosto un omaggio, il Cristo, ai tanti ceramisti e contadini che abitano questo sobborgo alla periferia di Chulucanas, nord del Perú, agglomerato di case e capanne, terra di povertà e stregoneria, dove i residenti sono tanti quanti i cani randagi e gli asini.

In quel volto sofferto del Figlio di Dio c’è il dolore di tanti lavoratori ai margini del perimetro sociale; in quella falce e in quella vanga ci sono il sudore e la fatica per «mandare avanti la baracca». Che, nel caso de La Encantada, non è solo un modo di dire, ma una triste realtà: quella di riuscire a sopravvivere in casupole che si reggono in piedi per miracolo, sotto il sole scottante e le piogge battenti, e sfamare giornalmente famiglie numerose. Famiglie che non perdono la gioia di vivere, come dimostrano i cartelloni che annunciano il compleanno di una bimba, festeggiato rigorosamente per strada insieme a tutto il vicinato.

Gli abitanti di Chulucanas indicano La Encantada come uno dei punti «assolutamente da vedere»: «Ci siete stati, no?». Tuttavia, oltre alla suggestiva statua di Gesù al centro di un marciapiede che fa da spartitraffico alle due vie di botegas di ceramica, c’è poco da visitare. La Encantada è punto di attrazione perché lì si recava spesso padre Robert Francis Prevost, oggi Leone XIV. Al tempo era giovane missionario appena approdato in Perú. Si racconta che si fermasse a lungo ai piedi della scultura: a pregare, a riflettere, forse a interrompere per un attimo il circuito di pensieri ed emozioni nel trovarsi in una terra totalmente diversa per tessuto sociale ed ecclesiale rispetto agli Stati Uniti d’America.

Nella cittadina di Chulucanas, nella regione di Piura — dove si scherza sul fatto che ci sono solo due stagioni «l’invierno e l’infierno» in riferimento al forte caldo —, il trentenne Prevost fu mandato come missionario dal suo ordine religioso di appartenenza, quello Agostiniano. Ci restò due anni, nel 1985 e 1986, tre dopo essere stato ordinato sacerdote e mentre preparava la tesi di dottorato. In quegli anni il borgo peruviano — dove è profonda e radicata la fede cattolica dei suoi abitanti (alla messa domenicale nella cattedrale della Sagrada Familia dispongono le sedie fino alla piazza, tanto è ampio l’afflusso di fedeli) —, da prelatura territoriale veniva elevata a diocesi, con la bolla Quoniam praelaticia firmata nel 1988 da Giovanni Paolo II.

Serviva allora qualcuno in gamba che si occupasse degli aspetti canonici, oltre che di quelli pastorali. Fu scelto Prevost, accolto con favore dalla gente del luogo e subito fatto sistemare nel caratteristico vescovado, a pochi metri dalla Plaza de Armas, in una stanzetta arredata da un letto con la copertina a quadri, un comodino, un armadio di legno, un’icona della Madonna. È facile immaginare quali e quanti sentimenti abbiano abitato il cuore del giovane agostiniano durante questo cambio radicale. La fede, la semplicità del vivere, l’accoglienza calorosa — la stessa che si riserva ad ogni turista di passaggio in città — del popolo di Chulucanas hanno fatto sentire “padre Roberto” a suo agio. Da subito iniziò a girare per le zone vicine — Chapica Campanas, Pacaipampa, Chalaco Morropón —, a incontrare la gente, a partecipare a pranzi e cene nelle case dei parrocchiani.

Elena Lozada, «segretaria di tre vescovi» come dice in tono di vanto, ha una memoria vivida di quel periodo. Lei, figlia di un diacono permanente, è stata «tra le prime» a conoscere il futuro Papa. È corsa da casa, presentandosi in ciabatte a corredare un abito comodo e leggero, appena saputo che i media vaticani stavano ripercorrendo le tappe della missione dell’agostiniano eletto Pontefice.

Non poteva non dare la sua testimonianza e condividere i suoi ricordi di questo «giovanotto umile e meraviglioso». Tra le mani robuste, Elena stringe una foto di «Roberto» seduto alla tavola di casa sua. «Era un uomo vicino alla gente, viveva per la gente e lottava per la gente. Mangiava con noi, ci incontrava tutti». E «il suo messaggio — scandisce la donna — non ha bisogno di molte parole, perché lo proclama con il suo atteggiamento».

Marina Ruirías Juárez sorride al suo fianco, sotto una grande immagine della Vergine di Guadalupe che campeggia nel cortile del vescovado tra murales «populares», quadri e piante. Occhiali da vista alla moda, piglio da presentatrice tv («Ho lavorato anche come giornalista!»), è agente pastorale dall’adolescenza; oggi è un’insegnante ed è impegnata nell’Ufficio diocesano dell’Educazione cattolica. Negli anni ’80 era una delle bambine a cui padre Prevost faceva catechismo. «Avevo 13 anni, venne nella nostra parrocchia, San José Obrero. Ho potuto godere della sua attività pastorale. Ho in mente l’immagine di lui che gira per la chiesa al momento della celebrazione eucaristica. E ricordo pure che, insieme agli altri sacerdoti, aspettava sempre sulla soglia della porta quanti partecipavano alla messa, per accoglierli». Marina soprattutto non dimentica «le pagnotte che davano ai bambini per le lezioni di catechismo».

Erano momenti semplici, quelli, che scandivano un momento tuttavia cruciale per la Chiesa di Chulucanas: «Iniziava un piano pastorale, una nuova immagine di parrocchia». Padre Roberto ha accompagnato quella trasformazione. «E io oggi — afferma Marina — dico che Dio è venuto a preparare tutto. Qui il padre ha iniziato il suo sacerdozio, in questo luogo in cui la vita della Chiesa non si vive nel tempio, ma nelle comunità, nelle équipe di coordinamento che sono protagoniste della costruzione della Chiesa». Prevost stesso ha formato quelle équipe. Lo hanno scelto i membri stessi, considerando la capacità di buon governo e l’approccio bonario, riflessivo, ma al contempo fermo ed efficace. «Qui si promuove la dignità della persona, è una Chiesa che ha una preferenza per i poveri e qui padre Roberto è stato “formato”. Ha ricevuto questa scuola grazie ai precedenti pastori che avevano vissuto il Concilio», sottolinea ancora la donna.

Marina ed Elena si scambiano sguardi di intesa mentre affermano che «Dio ha voluto che una delle sue prime esperienze di Chiesa fosse vissuta in questa città». E si dicono convinte pure che Leone XIV porti nel cuore questo bagaglio. Loro certamente non dimenticano l’agustino con il ciuffo di capelli sulla fronte, sempre pronto al sorriso. E non perché oggi è il Papa, ma perché — come dice Víctor Manuel Flores, da 38 anni operatore pastorale a Chulucanas —, è difficile dimenticare «un sacerdote così dedito a Cristo, con un impegno sociale molto marcato verso poveri e malati, in luoghi dove, allora, non erano stati costruiti neppure i pozzi d’acqua».

«Il ruolo sociale di padre Roberto era eccezionale, una persona gentile, di poche parole, ma faceva molto, lavorava molto, molto con i giovani», rimarca Victor.

Tra le strade della città, dove si vedono passare bambini delle diverse scolaresche in un’allegra parata per festeggiare le vacanze, si è tenuta una grande festa nel 2015, quando Prevost è stato nominato vescovo di Chiclayo.

E una festa ancora più grande è stata organizzata lo scorso 8 maggio, giorno della sua elezione al soglio Pontificio. «È stato come quando la tua squadra del cuore fa gol», dice monsignor Cristóbal Bernardo Mejía Corral, il simpaticissimo vescovo di Chulucanas, mimando il gesto dei tifosi con le braccia al cielo e la bocca spalancata, ricordando la sera dell’elezione del Papa. «Ho provato una sensazione di grande gioia e anche di conforto e speranza, soprattutto per la continuità con Papa Francesco».

«Quando hanno detto che era tra i “papabili”, abbiamo scommesso tutti che sarebbe stato eletto lui», racconta la catechista Lola Chávez Hernández. «I nostri cuori erano pronti, ma al momento dell’ “Habemus Papam” abbiamo pianto di commozione, lo avevamo incontrato solo l’anno prima! Nel 2024, ad agosto, abbiamo celebrato il 60° anniversario della diocesi e lui era qui con noi. Ha presieduto la messa e poi si è seduto a tavola per condividere il cibo, facendosi le foto con noi».

«Era vicino, come lo è sempre stato». E come sempre sarà. Di questo, i chulucanenses sono convinti. «Grazie padre Roberto! Oh, perdona... Papa León».