Riconoscere

di Giada Aquilino
La Santa Sede l’ha «già riconosciuto» da tempo. Dopo l’annuncio del presidente Emmanuel Macron sullo Stato della Palestina, che la Francia riconoscerà a settembre, in occasione della sessione annuale dell’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, la questione torna nelle parole del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin. Sollecitato dai giornalisti a margine di un evento del Giubileo degli Influencer, il porporato ha ricordato come quella sia «la soluzione, il riconoscimento dei due Stati, che vivano vicini l’uno all’altro, in autonomia ma anche in collaborazione e sicurezza». Mentre, rispondendo ad una domanda sulle dichiarazioni di coloro secondo i quali sia «prematuro» riconoscere lo Stato di Palestina, il cardinale ha affermato: «Perché prematuro? Cioè secondo noi la soluzione passa attraverso il dialogo diretto tra le due parti in vista della costituzione di due realtà statali autonome».
Certo, ha osservato, «diventa sempre più difficile anche per la situazione che si è creata e si sta creando in Cisgiordania», a proposito degli insediamenti israeliani in quei territori: «Questo non favorisce certamente, da un punto di vista pratico, la realizzazione dello Stato di Palestina». Di qui l’auspicio che gli incontri a New York, oggi e domani in occasione della Conferenza internazionale di alto livello per la soluzione pacifica della questione palestinese e l’attuazione della soluzione a due Stati, portino «qualche frutto». È utile ricordare che la Santa Sede già 25 anni fa aveva siglato un primo accordo di base con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). Quindi, dieci anni fa, firmò un Accordo globale con lo Stato di Palestina, entrato poi in vigore nel gennaio 2016. A proposito dell’indagine sull’attacco israeliano del 17 luglio scorso alla chiesa della Sacra Famiglia a Gaza — i cui primi esiti indicherebbero che il colpo sparato contro l’edificio, e che ha provocato tre morti e 10 feriti, non solo non sarebbe stato intenzionale, ma neanche causato da errore umano, piuttosto dal malfunzionamento del proiettile o del meccanismo del pezzo di artiglieria che lo ha lanciato – il cardinale Parolin ha inoltre detto di non avere «altri elementi per fare una valutazione differente. Non abbiamo potuto fare un’indagine indipendente. Prendiamo come buoni i risultati che sono stati offerti da parte dell’esercito israeliano e del governo israeliano, insistendo appunto perché si stia attenti, perché — ha aggiunto — l’impressione è che tante volte questi errori si ripetano. Bisognerà porre una particolare attenzione per evitare che i luoghi di culto e le istituzioni umanitarie possano essere di nuovo colpite dalla violenza», ha proseguito il segretario di Stato. «Tocca a Israele di trovare la maniera di far sì che questi errori non si ripetano. Credo che se si vuole, si può trovare la maniera».
Sottolineata inoltre la gravità della crisi a Gaza e la necessità di aiuti umanitari: «Spero ci siano perché la situazione è insostenibile. E davvero, come denunciano molte agenzie internazionali lì, adesso, una nuova arma è quella della “starvation”, quella della carestia e della mancanza di cibo».
Circa l’altro fronte di guerra e una mediazione e un incontro di pace tra Russia e Ucraina, Parolin ha dichiarato poi di non credere «che si possa accusare il Vaticano di non essere neutrale. Abbiamo cercato sempre, pur dicendo le cose come sono, di stare vicino a entrambi e di aiutare soprattutto a trovare una via di soluzione al conflitto».
Rispondendo a una domanda sull’udienza, sabato scorso in Vaticano, di Papa Leone al Metropolita di Volokolamsk, Antonij, responsabile delle Relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, il segretario di Stato ha definito l’incontro «positivo» perché «è importante parlarsi, è importante mantenere i contatti e che quindi tutto questo possa aiutare a riprendere un po’ alla volta in una maniera più cordiale e più costruttiva i rapporti con il Patriarcato di Mosca».
Il pensiero del porporato è andato anche a quel «segnale pericoloso» per i cristiani che è stato l’attacco nel week end ad una chiesa cattolica dell’Ituri, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, con un bilancio di decine di vittime. L’attacco, operato da uomini armati dell’Adf, «forze che sono praticamente espressione della Jihad islamica e che si impongono con la forza e con la violenza» è giunto, ha osservato Parolin, «in quella regione dove ci sono già tanti conflitti di natura etnica, di natura culturale, di natura socio-politica. Che si aggiunga anche l’aspetto religioso — ha riflettuto — aumenta ancora di più il problema».