
da Gerusalemme
Roberto Cetera
Non è bastata, lo scorso 14 luglio, la visita dei capi delle chiese cristiane, e neanche quella successiva dell’ambasciatore statunitense in Israele Mike Huckabee, a fermare le violenze dei settlers ebraici contro Taibeh, l’unico villaggio palestinese interamente cristiano.
La scorsa notte, intorno alle 2.20, un gruppo di coloni vi ha fatto irruzione di nuovo, lanciando sassi contro le case, tentando di incendiarne una, tracciando sui muri scritte minacciose in ebraico e dando fuoco a tre automobili, una di un giornalista e una di un membro del consiglio municipale. Quando poi i giovani palestinesi sono usciti dalle loro case per difendere proprietà, animali e persone si sono dati vigliaccamente alla fuga. I soldati israeliani, chiamati a difendere gli abitanti, sono comparsi solo un’ora più tardi.
Le ripetute incursioni, che sono condotte dalle bande di coloni che si definiscono i “Hilltop youths”, i ragazzi della collina, guidati da un estremista religioso Neria ben Pazi, si erano finora indirizzate contro gli allevamenti e le coltivazioni, ma ora si rivolgono direttamente alle persone. Per quanto i criminali siano animati da un fervore religioso fondamentalista, è evidente che gli attacchi non sono rivolti espressamente contro gli abitanti cristiani, ma in generale contro la popolazione palestinese, riguardando anche villaggi vicini abitati da musulmani. L’obiettivo è in effetti quello di espellere progressivamente i palestinesi dalle loro terre; i cristiani ne rimangono riguardati nella misura in cui le comunità cristiane della Terra Santa sono a larghissima maggioranza palestinesi.
Un recente rapporto della polizia israeliana aveva assolto i coloni dalla responsabilità dei nuovi attacchi sostenendo perfino che si sarebbero prodigati ad aiutare la popolazione a spegnere le fiamme appiccate da non si capisce bene da chi. L’amministrazione americana e la sua rappresentanza diplomatica aveva usato parole molto severe circa le aggressioni recenti. L’ambasciatore tedesco Steffen Seibert ha commentato «che attacchino un villaggio cristiano o una comunità musulmana, palestinesi, questi coloni estremisti possono anche reclamare di aver ricevuto questa terra da Dio, ma in realtà non sono altro che criminali, estranei ad ogni vera fede».
Ciò che rende particolarmente odioso l’attacco alle piccole comunità cristiane dello Stato di Palestina nella Cisgiordania è che i cristiani che l’abitano si distinguono per il loro approccio pacifico che non cede alla tentazione di rispondere a queste violenze perpetrate dai settlers. Piuttosto reclamano un accertamento corretto delle responsabilità che può essere condotto solo da parti terze e neutrali, non da chi è, più o meno direttamente, parte in causa. Le conclusioni finora raggiunte dalla polizia israeliana hanno lasciato perplessi anche molti ambienti israeliani moderati. La comunità locale, tuttavia, non perde la speranza e mantiene aperte le porte del dialogo, per cercare soluzioni efficaci e giuste alla situazione di violenza che si è creata in Palestina, non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania.