· Città del Vaticano ·

Influenzati da Cristo
per testimoniare
il suo Vangelo

 Influenzati da Cristo  per testimoniare il suo Vangelo  QUO-172
26 luglio 2025

di Paolo Padrini

Nei prossimi giorni si celebrerà il Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici. Non solo un raduno ma, nell’ambito celebrativo del Giubileo, un momento per accogliere il “grazie” della Chiesa per il servizio che tanti operatori hanno realizzato con impegno, generosità e fantasia. 

La Chiesa, da decenni, è presente nel mondo digitale in diverse forme: alcune più istituzionali, altre più libere e personali. Sia le esperienze strutturate che le manifestazioni più spontanee rappresentano l’espressione sincera dell’accoglienza della Parola del Signore, che ci chiama — in ogni tempo e in ogni luogo — ad annunciare il suo Vangelo.

La Chiesa, inoltre, ha da tempo offerto importanti contributi e orientamenti, attraverso lettere e messaggi che, uniti ai molteplici interventi degli ultimi Pontefici, dicono la grande attenzione non solo per questi argomenti, ma soprattutto per le persone che nel digitale hanno messo cuore e fede.

Di fronte al fiorire di spazi digitali e al nascere di recenti opportunità è importante non dimenticare il grande valore di una generosità che si esprime nel “donarsi al mondo” attraverso vie nuove, che richiedono fantasia, creatività e coraggio. È un bene prezioso quando nasce da un sincero afflato evangelico.

Non solo. Il Giubileo offre l’occasione per incontrarsi e per consolidare quel deposito di generosità, passione e professionalità, attorno a un tema — quello della speranza — che è la base di tutto e il cuore della motivazione con cui tanti cattolici operano nel digitale.

Se siamo in questo “mondo” è perché animati dalla speranza certa che il Signore vuole operare la sua salvezza, che è sempre concreta e frutto di un incontro personale, attraverso la generosità di tanti cattolici, più o meno giovani. Ed è proprio grazie alla speranza come dono del Signore che il “mondo digitale” è chiamato ad essere sempre “terra di missione”, campo fecondo nel quale Gesù, attraverso i suoi discepoli, semina il bene.

La responsabilità nei confronti di questa “prospettiva di speranza” — che ci anima e ci sprona a mai interrompere la nostra missione — ci chiede di metterci in cammino in una continua opera di conversione spirituale.

Proprio in questa ottica, positiva e serena, sento il desiderio di sottolineare alcuni aspetti fondamentali, che — a mio parere — non devono mai essere trascurati.

Prima di essere “influencer”, siamo “influenzati”


Viviamo in un’epoca in cui l’essere visibili e ascoltati è spesso considerato il segno di un’efficacia comunicativa. Ma la vanità — lo sappiamo bene — è sempre in agguato. A volte ci cade anche chi è animato dalle migliori intenzioni. Eppure esiste un antidoto sicuro alla tentazione di metterci al centro di ogni situazione: mettere Cristo al centro. Cristo prima di tutto. Cristo, e solo Lui.

Essere “influenzati” da Cristo significa lasciarsi abitare dalla Sua presenza, nutrirsi della Sua Parola, vivere una relazione profonda e vera con Lui, personale ed ecclesiale, che poi trasforma anche la nostra comunicazione.

Proprio Papa Leone XIV, nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, ha sottolineato quanto sia necessario:

«Disarmare la comunicazione da ogni pregiudizio, rancore, fanatismo e odio. […] Non serve una comunicazione fragorosa, muscolare, ma piuttosto una comunicazione capace di ascolto, di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce».

Se la nostra presenza nel mondo digitale nasce da questo legame fondativo allora ciò che trasmettiamo non sarà la nostra opinione, il nostro gusto, il nostro stile, ma sarà Lui: la sua Parola, il suo Cuore, il suo Amore. Se Lui è la fonte dei nostri pensieri, la Parola nelle nostre parole, il Cuore del nostro cuore, allora tutto assume un volto nuovo, autentico e trasparente. Nulla verrà ostacolato così dalla nostra presenza, spesso ingombrante: tutto in noi sarà trasfigurazione di Cristo, affinché noi possiamo sparire… per lasciare spazio a Lui.

Questo ci libera dalla tentazione di essere protagonisti o interpreti di una “nostra” storia, che illude noi stessi e gli altri proponendo salvezze effimere. Al contrario, ci mette in cammino lungo la via del Vangelo accolto e condiviso, ricevuto e donato, in spirito di gratuità.

L’azione generosa e appassionata di tanti operatori del mondo digitale — oggi come in passato — è animata da questo profondo convincimento, e tutto ciò si vede. Quante persone nella Chiesa non cedono alla negatività nei confronti dei nuovi media e degli spazi digitali che ogni giorno in modo nuovo si offrono a noi! Sarebbe facile dire: «Questo social è negativo» oppure «è inutile operare in questo luogo digitale». Ma avere Cristo nel cuore della nostra azione pastorale impone di non cedere a questa tentazione negativa. Al contrario ci spinge ad andare avanti, convinti che non vi sia luogo che sia escluso dalla “carezza della grazia” del Signore che passa attraverso il nostro impegno e la nostra presenza.

Una relazione personale ed ecclesiale


Questo rapporto con Cristo, che ci rende missionari, non è mai solo individuale. È un legame che cresce nella comunità ecclesiale, si alimenta nella vita spirituale e nella preghiera, e si concretizza nella consegna quotidiana della nostra vita al Signore. È Lui il motore della nostra esistenza, anche nella sua dimensione comunicativa.

Papa Leone XIV, nel suo primo discorso dalla Loggia delle Benedizioni, ha parlato della necessità di una «pace disarmata e disarmante, umile e perseverante». Queste parole possono ispirare anche lo stile della nostra comunicazione digitale: una comunicazione non aggressiva, non polemica, non autoreferenziale, ma disarmata, umile, perseverante.

Mettere Cristo al centro ci chiede di riorientare le nostre priorità secondo la logica del Vangelo. Ci aiuta a fuggire non solo dalla vanità personale, ma anche dalla superficialità con cui potremmo rischiare di trattare temi fondamentali della vita. Le nostre condivisioni, le nostre narrazioni digitali devono emergere da una profondità spirituale, non da una ricerca di consenso o visibilità.

Il rischio da evitare è quello di disperderci in mille questioni inutili, lasciandoci trascinare da logiche mondane, che possono essere sia personali che ecclesiali. È un rischio sottile, ma reale.

Ma ancora una volta è bene ricordare che correre questo rischio a fronte delle novità che possono farci paura, fa parte della sfida del nostro “esserci” responsabile. Non solo una responsabilità personale, ma soprattutto una responsabilità nei confronti dell’azione dello Spirito che non può essere mai bloccata. Non correre il rischio sarebbe comodo e semplice: basterebbe fuggire. Al contrario occorre “starci dentro” così come tanti stanno facendo, con coraggio, impegno e, soprattutto, fede.

Uno sguardo “altro”


In questo nostro cammino di responsabilità e conversione ci viene in aiuto l’episodio evangelico di Marta e Maria. Anche noi, come Marta, possiamo essere tentati di fare tante cose, rischiando di dimenticare “la parte migliore”, quella che non ci sarà mai tolta. È una questione di sguardo, non di snobismo spirituale. Non si tratta di “distrarsi” dalle cose del mondo, ma di imparare a guardarle con occhi diversi.

Essere missionari digitali significa avere uno “sguardo altro”, uno sguardo che — come quello di Gesù — sa andare oltre l’apparenza, fino al cuore dei fratelli. Uno sguardo che accoglie, che ama nella verità, che si fa presenza concreta. È uno sguardo che si trasforma in una mano tesa, che accompagna l’altro in un percorso possibile di crescita e di conversione.

Anche qui riecheggiano le parole di Papa Prevost: «Non si tratta solo di parlare, ma di generare fiducia. Non si tratta solo di spiegare, ma di ascoltare. È la fiducia che apre le porte al Vangelo».

Qui ancora una volta sta tutta la bellezza dell’operare nel mondo anche digitale. Una bellezza che deve riempirci di gioia e spingerci a continuare nel cammino e nell’impegno.

Avere la possibilità di essere nel mondo — nella consapevolezza di rimanere “solo servi” —  l’“amore del Signore”, la Sua Parola che accoglie, la Sua mano che solleva è per noi, missionari nel digitale, una responsabilità ma allo stesso tempo motivo di continuo ringraziamento a Lui. 

Missionari nel digitale che conducono a Cristo


Ecco la nostra specificità: essere missionari nel digitale che conducono a Cristo. Non portiamo un messaggio impersonale, non annunciamo un codice di regole, non proponiamo un’ideologia. La nostra testimonianza vuole accompagnare le persone a incontrare una Persona, il Risorto, vivo nella Sua Chiesa. 

Leone XIV, parlando della Chiesa come segno di unità, ha detto: «Vorrei una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato».

Questa è anche la nostra chiamata: essere fermento, anche online. Costruire, non dividere. Curare, non giudicare. La nostra azione missionaria nasce da un’esperienza: quella di un amore che ci ha toccati, perdonati, guariti. Solo se abbiamo sperimentato noi per primi questo incontro, potremo portarne la luce nel mondo digitale, spesso segnato da una “vicinanza indifferente” o da una “socialità solitaria”.

In questo mondo, siamo chiamati a testimoniare che è possibile un incontro che salva. L’incontro con Cristo, amante dell’uomo, che desidera raggiungere ogni cuore, ovunque esso si trovi — nel reale o nel virtuale.