· Città del Vaticano ·

Hic sunt leones
Il basso potere d’acquisto e la stagnazione dei salari rischiano di acuire il fenomeno migratorio

L’Africa e la discriminazione
sul costo della vita

  L’Africa e la discriminazione  sul costo della vita  QUO-171
25 luglio 2025

di Giulio Albanese

Inflazione e aumento dei prezzi al consumo rappresentano oggi l’aspetto più preoccupante della tenuta sociale in quasi tutti i Paesi, compresi quelli di economia più avanzata. In questi contesti, le classi di governo sembrano spesso agire non con politiche strutturali di sostegno al reddito dei ceti maggiormente svantaggiati, ma con superficiali misure “tampone” ispirate dal timore di perdere il consenso degli elettori. Il rischio di una perdita di consenso sarebbe in effetti inevitabile, se a rinviarla non contribuisse una crescente disaffezione della cittadinanza verso la partecipazione alla vita pubblica, favorita da un’informazione sempre più simile a una propaganda menzognera e distorsiva.

Questa situazione, ormai evidente anche in democrazie un tempo consolidate, non è tuttavia paragonabile a quella dell’Africa, dove povertà e discriminazioni permangono ostinatamente elevate a causa dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, della mancanza di opportunità di lavoro formale e delle misure di cosiddetta austerità, esito degli effetti dell’eccessivo costo debito e della sfrenata speculazione dei mercati finanziari. Emblematiche di questo disagio sono le proteste in Paesi come l’Angola o il Kenya, espressione di un malessere che interessa soprattutto il vasto areopago giovanile e che, in linea di principio, dovrebbe spronare i governi locali a riconsiderare i vincoli alla spesa pubblica. Naturalmente, è doveroso usare il condizionale perché i decisori politici devono misurarsi con i costi proibitivi dei capitali presi a prestito.

Uno dei concetti più elementari in riferimento alle dinamiche dei mercati è che quando l’indice dei prezzi al consumo (Cpi) subisce una variazione significativa, in particolare un aumento, ciò provoca ripercussioni sull’intera economia di un Paese. Peraltro, il Cpi, che misura la variazione media nel tempo dei prezzi pagati dai consumatori per beni e servizi, è considerato come un importante indicatore dell’inflazione. Un Cpi più elevato spesso indica un aumento generale dei prezzi, con conseguente aumento del costo della vita. Per i Paesi dipendenti dalle esportazioni, invece, una variazione bassa e costante dell’indice dei prezzi al consumo contribuisce a tenere sotto controllo i costi di produzione. Ciò consente ai loro prodotti e servizi di rimanere competitivi sul mercato globale, promuovendo la stabilità commerciale ed economica.

Alla luce di queste considerazioni fin qui accennate in modo sommario, guardando al panorama africano, si evince che vi è una discrasia tra i redditi da lavoro e i costi per accedere a beni e servizi. Affitti, cibo, utenze, assistenza sanitaria e trasporti stanno diventando tutti sempre più costosi, costringendo le famiglie a ridurre le spese discrezionali o ad attingere ai risparmi.

Una recente analisi dei dati sul costo della vita condotta da Numbeo (Cost of Living Index by Country 2025), uno dei più importanti database mondiali sul costo della vita, traccia un quadro preoccupante per le principali città africane. Il rapporto rivela le forti pressioni che i Paesi di tutto il continente devono affrontare. Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, risulta essere la città più costosa, seguita da altre come Harare (Zimbabwe), Johannesburg e Città del Capo (Sud Africa). Questo aumento del costo della vita deriva da una combinazione di fattori globali e locali. Le fluttuazioni del mercato globale e le sfide in settori specifici hanno alimentato l’aumento dei prezzi di beni e servizi essenziali. Paesi come Nigeria, Angola, Kenya e Ghana si trovano ad affrontare problemi simili, che gravano ulteriormente sulle loro popolazioni.

L’inflazione dei prezzi di generi alimentari e servizi pubblici rappresenta una delle criticità più gravi, con l’Etiopia che prevede un’inflazione alimentare del 16 per cento nel 2025. Gli aumenti a due cifre dei costi dell’elettricità riducono ulteriormente la sostenibilità economica di molte aziende. Pur essendo la più grande economia del Corno d'Africa, la competitività dell’Etiopia risulta oggi seriamente minacciata da questa difficile congiuntura economica sfavorevole. L’aumento del costo della vita ha un impatto anche sui costi del capitale umano. I prezzi degli affitti ad Addis Abeba, ad esempio, sono aumentati vertiginosamente del 30 per cento nell’ultimo anno, rendendo gli alloggi inaccessibili per molti. Il basso potere d’acquisto locale e la stagnazione degli stipendi, che non riescono a tenere il passo con l’inflazione, rischiano di acuire il fenomeno migratorio.

Nonostante l’impressionante crescita economica registrata in alcune città africane, la disuguaglianza di reddito rimane una sfida persistente. Il divario tra ricchi e poveri continua ad ampliarsi, rendendo sempre più difficile per una parte significativa della popolazione far fronte all’aumento del costo della vita. I governi e i responsabili politici africani dovrebbero in linea di principio dare priorità alla gestione della crisi del costo della vita, attuando, ad esempio, misure per stabilizzare le fluttuazioni del mercato globale, diversificare le economie locali e investire in infrastrutture essenziali. Promuovere il sostegno al reddito e le reti di sicurezza sociale potrebbe inoltre contribuire ad alleviare l’impatto sulle fasce più vulnerabili della popolazione.

L’aumento del costo della vita in Africa minaccia seriamente la stabilità economica e il benessere sociale del continente. Affrontare questa sfida complessa richiede sforzi concertati a livello locale e globale con l’obiettivo di costruire un futuro più inclusivo e sostenibile per l’Africa. La mancanza di opportunità di lavoro formale ha inoltre esacerbato la crisi. I salari dei lavoratori a basso reddito con lavori formali non tengono il passo con l’aumento dei prezzi. Al tempo stesso, le attività del settore informale — una forma mascherata di disoccupazione e un limite alla prosperità condivisa — rappresentano circa l’85 per cento dell’occupazione totale nel continente, e questi lavoratori devono, infatti, anche far fronte alla volatilità del reddito e a componenti inaspettate dell’inflazione, aggravando ulteriormente la pressione sulle famiglie.

Una recente ricerca che valuta gli effetti distributivi del ciclo inflazionistico sulle famiglie negli Stati Uniti ha rilevato un fenomeno noto come “disuguaglianza inflazionistica”: i prezzi tendono ad aumentare più rapidamente per chi si trova in fondo alla distribuzione del reddito rispetto a chi si trova in cima. La diffusione delle proteste in Africa suggerisce che una dinamica simile sia in atto nel continente, dove i prezzi alimentari sproporzionatamente più elevati causati dai tassi di cambio hanno aumentato drasticamente i costi sociali di questo ciclo inflazionistico.

Quanto scritto non può prescindere da un confronto del costo della vita in Africa rispetto ad altri continenti. L’Etiopia, ad esempio, si colloca al 53° posto a livello globale, con un indice del costo della vita di 46,5, il più alto tra tutti i Paesi africani. Questo in sostanza significa che, mentre per le aziende provenienti dal cosiddetto nord del mondo l’Africa continua a rappresentare una destinazione economicamente vantaggiosa, per le popolazioni autoctone il costo della vita è sempre più proibitivo. Questo conferma che le disuguaglianze permangono e rappresentano un fattore altamente destabilizzante, soprattutto dal punto di vista della governance, del welfare, dei diritti umani e delle opportunità economiche. Affrontare queste sfide con politiche strutturali e inclusive è ormai una priorità non più rinviabile, se si vuole garantire un futuro equo e stabile per il continente.