
da Gerusalemme
Roberto Cetera
Questo pomeriggio il nuovo custode di Terra Santa padre Francesco Ielpo ha fatto il suo ingresso solenne nella chiesa di San Salvatore a Gerusalemme, ingresso che, insieme alla consegna del sigillo da parte del Custode uscente padre Francesco Patton, segna l’inizio ufficiale della sua missione in Terra Santa.
Padre Ielpo, lei inizia il suo mandato custodiale nel momento forse più grave vissuto da questa terra fin dalla guerra del 1967 se non forse dal 1948. A Gaza in 22 mesi si sono contati 57 mila morti e le possibilità di una tregua spesso annunciate non si sono ancora realizzate. In Cisgiordania gli attacchi dei coloni si susseguono ogni giorno sempre più violenti. E anche la minoranza cristiana soffre ripetute violenze; come dimostrano le incursioni dei coloni nel villaggio cristiano di Taibeh e soprattutto il cannoneggiamento giovedì scorso della parrocchia cattolica di Gaza con 3 morti e 10 feriti.
Sì, è un momento molto difficile ne sono consapevole. Anche perché, come è noto, la nostra non è solo una custodia dei luoghi sacri, ma una presenza pastorale viva accanto ai cristiani di questa terra. E, oltre alle difficoltà diciamo oggettive, ci sono quelle soggettive. Cioè ho molto presente il divario che c’è tra l’incarico che mi è stato affidato e le modeste risorse della mia persona. Però io vedo questo divario anche come un’opportunità. Nel senso che questo gap lascia più campo all’azione dello Spirito Santo. E io confido soprattutto in questo. Perché lo dobbiamo soprattutto a questa azione dello Spirito se i francescani da 800 anni riescono, pur tra tante avversità, a testimoniare la presenza cristiana nella terra di Gesù.
Padre Ielpo, lei conosce già molto bene la Terra Santa e la realtà della Custodia, negli ultimi anni peraltro lei l’ha rappresentata come delegato del custode in Italia. Ha già in mente un programma di lavoro?
Io intendo semplicemente muovermi nel solco ben delineato dai miei predecessori. La Custodia non è il custode, ma la dedizione, la fatica, e i talenti degli oltre 300 frati che la compongono e vivono. Più che dirigere, la funzione del custode è quella di valorizzare questi talenti ben diffusi nel corpo di questa provincia francescana speciale. Come ha ben fatto negli ultimi 9 anni il padre Patton. Tra questi talenti indicherei innanzitutto il carattere internazionale della Custodia, che annovera al suo interno oltre cinquanta diverse nazionalità. Il mio compito è di rendere armoniosa questa sinfonia di vocazioni e talenti. Poi indicherei la specifica missionarietà dei francescani, interamente improntata alla sequela di Cristo attraverso l’evangelizzazione e che qui si esprime non solo nell’accoglienza di tanti pellegrini, ma anche nella conduzione delle parrocchie affidateci dal patriarcato di Gerusalemme dei latini (le parrocchie di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e Jaffa sono affidate ai francescani, ndr), e soprattutto nella gestione delle 17 scuole che in Israele e Palestina educano alla pace migliaia di studenti ogni anno. Le scuole costituiscono senza dubbio il valore aggiunto della nostra pastorale. E poi le opere di carità cristiana, rivolte ad alleviare le sofferenze della popolazione palestinese più disagiata. Un ambito sul quale tutti noi siamo impegnati, ed in particolare il nostro padre Ibrahim Faltas ha avviato iniziative molto importanti per i bambini in questi mesi di guerra.
Terra Santa non è solo Gerusalemme, Israele e Palestina, ma anche Siria, Libano, Giordania, Egitto, Cipro e Rodi.
Ancor prima dell’insediamento ufficiale con l’ingresso di oggi pomeriggio, ho voluto iniziare la mia missione visitando nei giorni scorsi le nostre comunità di Siria e Libano. Sono rimasto piacevolmente sorpreso dallo spirito cristiano e dall’efficace attività dei nostri frati, e ancor più dal radicamento e apprezzamento di cui godono tra le popolazioni dei loro territori di missione. E non solo dei cristiani. In Siria i frati mi hanno poi accompagnato ad incontrare il vicario del patriarcato ortodosso, e poi il parroco della chiesa di sant’Elia nel quartiere Dwelah di Damasco dove lo scorso 21 giugno un attentato terrorista di matrice islamista ha ucciso più di 30 cristiani e feriti oltre 60. Il parroco mi ha raccontato dell’attacco e dei suoi parrocchiani uccisi: della giovane ragazza, la prima vittima, uccisa sul sagrato mentre si recava in chiesa con una candela in mano, e del giovane uomo che si è avventato sul terrorista suicida che stava facendosi esplodere e lo ha bloccato prima che raggiungesse i banchi dei fedeli, così da sacrificarsi lui per risparmiare decine di altre possibili vittime. Al termine ci siamo scambiati un forte e non formale abbraccio, segno di un ecumenismo reale nella comune sofferenza, e sotto la medesima croce. Quando poi i nostri frati hanno organizzato per la mia presenza una speciale celebrazione eucaristica pensavo che la paura avrebbe trattenuto molta gente dal venire, e invece la chiesa era piena. L’identità cristiana prevale su quella etnica o politica. Anche in Libano sono stato testimone del grande impegno caritativo, durante i bombardamenti israeliani, dei nostri frati, che hanno dato ricovero a tanti sfollati sia a Beirut che al sud. Sono ammirato dal coraggio e dallo spirito missionario dei nostri frati, così poco conosciuto in occidente.
Cosa chiederà ai suoi frati?
Semplicemente che siano dei buoni frati. Come lo sono stati i loro predecessori, che hanno preservato e garantito la presenza cristiana in Terra Santa per 800 anni. Con un’ attenzione al prossimo ma con lo sguardo sempre rivolto a Cristo. In questi giorni, durante questo viaggio, ho meditato molto su questo nuovo incarico che mi è stato immeritatamente dato guardando ad un brano del Vangelo che in queste ore mi sta ispirando. Oggi, come al tempo di Gesù, le onde del mare sono alte e minacciose, la paura nella barca è tanta, ma guardando a Gesù che cammina sulle acque i timori dei discepoli si placano. Pietro cerca di imitarlo ma sembra soccombere. Perché? Perché ha smesso di rivolgere lo sguardo sugli occhi di Gesù. Ecco, questo è il mio obiettivo personale, ma anche quello che propongo ai nostri frati: riuscire a mantenerci saldi e senza paure nelle tempeste di questo nostro mondo, grazie allo sguardo fisso che manteniamo su Gesù.