
di Fabrizio Peloni
Dalla “sua” specola di Castel Gandolfo, utilizzando il telescopio Schmidt posizionato all’interno di una cupola nei giardini delle Ville Pontificie, il 20 luglio 1969 Paolo VI seguì con grande attenzione l’allunaggio, inviando un messaggio agli astronauti dell’Apollo 11. «Onore, saluto e benedizione a voi, conquistatori della Luna, pallida luce delle nostre notti e dei nostri sogni! Portate ad essa, con la vostra viva presenza, la voce dello spirito, l’inno a Dio, nostro Creatore e nostro Padre. Noi siamo a voi vicini con i nostri voti e con le nostre preghiere». Con queste parole, a nome suo e di tutta la Chiesa, Montini salutava l’intero equipaggio.
Cinquantasei anni dopo, in memoria di quel giorno storico, alle 22.15 di ieri sera, domenica 20 luglio, sul proprio account X @Pontifex, Leone XIV ha annunciato di aver parlato «con l’astronauta Buzz Aldrin — il secondo uomo ad aver calpestato il suolo lunare, dopo il comandante Neil Armstrong, ndr —. Abbiamo condiviso la memoria di un’impresa storica, testimonianza dell’ingegno umano, e insieme abbiamo meditato sul mistero e la grandezza della Creazione». Da parte sua l’astronauta statunitense, oggi 95enne, nel post di risposta, si è detto onorato e commosso di ricevere la benedizione di Papa Prevost, concludendo che insieme hanno «pregato per la buona salute, una lunga vita e la prosperità per tutta l’umanità».
La Sala stampa della Santa Sede, su Telegram, ha reso noto che nella conversazione il Pontefice ha condiviso con Aldrin «la memoria di un’impresa storica, testimonianza dell’ingegno umano e, con le parole del Salmo 8, insieme hanno meditato sul mistero della Creazione, la sua grandezza e la sua fragilità. Prima del termine della telefonata, il Papa ha benedetto l’astronauta, la sua famiglia e i suoi collaboratori».
E per lo stesso motivo ieri mattina, dopo l’Angelus, il Pontefice si era recato alle due cupole sulla terrazza del Palazzo Pontificio, presso l’Osservatorio astronomico che dal 1935, per volontà di Pio XI, fu trasferito a Castel Gandolfo. In precedenza, infatti, per contrastare le persistenti accuse di oscurantismo verso la scienza mosse alla Chiesa, era stato Leone XIII, con il Motu proprio Ut mysticam del 14 marzo 1891, a rifondare l’Osservatorio sul colle Vaticano, dietro la basilica di San Pietro.
Così, accompagnato nella visita alla Specola dal gesuita e connazionale padre David Brown, il Papa ha potuto osservare il cielo dallo storico telescopio Visuale della ditta Zeiss, che sin dal 1935 si trova all’interno dell’Osservatorio astronomico. «Una macchina ancora ben funzionante, anche se non più utilizzata per la ricerca moderna per la quale ci avvaliamo del Telescopio Vaticano a Tecnologia Avanzata (VATT) installato nel deserto dell’Arizona a 4 ore dalla città di Tucson, negli Stati Uniti d’America», ha spiegato il sacerdote. E, sorpresa delle sorprese, a mezzogiorno era ben visibile nel cielo, in direzione ovest, una porzione della Luna. «Un evento non frequentissimo, decisamente ancora più raro alla presenza del Papa», ha raccontato ai media vaticani quasi divertito il sacerdote che solo poco più di un mese fa, il 16 giugno, in qualità di Decano dell’edizione 2025 della scuola estiva della Specola Vaticana aveva accompagnato i giovani studenti nella Sala del Concistoro per l’incontro con il Pontefice. «Attraverso la vostra ricerca della conoscenza, ognuno di voi potrà contribuire alla costruzione di un mondo più pacifico e giusto», aveva detto in quell’occasione il Papa rivolgendosi ai 24 astronomi provenienti da tutto il mondo.
«Una volta aperta la cupola, il Santo Padre si è mostrato davvero interessato, volendo sapere la storia e il funzionamento del telescopio che ci stavamo apprestando a utilizzare e se le immagini dei corpi celesti osservati fossero capovolte» ha proseguito il gesuita, sottolineando che «in generale durante il giorno non sono visibili gli oggetti celesti, a causa del vigore della luce del sole; però di tanto in tanto la Luna anche durante il giorno si può vedere, generando una sensazione di meraviglia anche in chi si trova ad osservarla a occhio nudo».
Il Papa durante la visita all’Osservatorio ha incontrato pure il superiore della comunità gesuita della Specola Vaticana, l’indiano padre Richard D’Souza, e «questo forte suo interessamento alla nostra opera al servizio della Chiesa nel campo dell’astronomia è per noi un privilegio — ha aggiunto padre Brown —, perché mostra che c’è un’armonia tra la religione, tra la fede e le scienze».
Il gesuita ha ricordato anche il costante impegno verso la Specola da parte del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano per permettere all’Osservatorio astronomico di «perseguire il desiderio di Leone XIII di avere una Chiesa che contribuisse alla conoscenza del mondo e dell’universo, appoggiando, sostenendo e supportando le scienze». Oggi infatti gli astronomi della Specola studiano le stelle, i meteoriti, l’origine delle galassie, la cosmologia, cercando di arrivare a comprendere la complessità dell’universo e la vita fuori dal sistema solare.