· Città del Vaticano ·

Il pellegrinaggio giubilare della diocesi di Bergamo

Nutriti dalla speranza
in Cristo

 Nutriti dalla speranza   in Cristo  QUO-163
16 luglio 2025

di Giulio Dellavite*

«Sono nata a Roma per puro caso e sono stata battezzata proprio nella basilica di San Giovanni, che non avevo più rivisto. Tornarci dopo 70 anni è stato particolare dal punto di vista emotivo. Per quanto mi riguarda, la cosa più bella di questi giorni è aver raggiunto tutte le Porte Sante a piedi. Un’esperienza impegnativa, ma meravigliosa». Giuseppina Colombera, settantenne residente a Colognola, quartiere di Bergamo, esprime così il senso del suo pellegrinaggio a Roma insieme a 150 fedeli della diocesi lombarda.

Una testimonianza di fede che si accompagna a Eucaristia, perdono, speranza, pace: sono le parole che meglio riassumono i sette giorni che la Chiesa bergamasca ha vissuto dal 7 al 13 luglio, sotto la guida del vescovo Francesco Beschi. Un cammino che ha fatto tappa in Abruzzo, Puglia e Basilicata prima dell’arrivo nell’Urbe, dove i fedeli hanno attraversato le Porte Sante delle basiliche papali di San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo Fuori le Mura. Nella giornata conclusiva, ultima tappa a Castel Gandolfo per l’Angelus di Leone XIV.

«Per me è il primo pellegrinaggio diocesano — racconta Francesco Capelli, ventottenne di Sant’Omobono Terme —. Sono venuto insieme a mia mamma Delia per vedere dei luoghi ricchi di arte e storia e approfondirli dal punto di vista spirituale». Prima volta anche per Bruno Colleoni, 70 anni, di Calusco d’Adda. «Un’esperienza coinvolgente, dove arricchisci il viaggio con momenti di preghiera e riflessione».

Giuseppina Nembrini, 55 anni, di Cenate Sopra, è al secondo pellegrinaggio con la diocesi. «La prima volta — spiega — ero andata in Polonia a Jasna Góra, al santuario dove è venerata la Madonna di Częstochowa, tanti anni fa. Di questi giorni, in particolare, mi è rimasta impressa una frase del vescovo Beschi in una delle sue omelie: “Aprire ogni giorno la via dell’incontro”. L’incontro con la “i” maiuscola, quello con Gesù».

Un momento particolare, aggiunge, lo ha vissuto durante la messa nella cappella Paolina della basilica Liberiana pregando davanti all’icona della Salus Populi Romani. «Ho provato un’emozione fortissima: lei è la speranza, la gioia, è lei che ci porta a Gesù».

Mario Fratus, 73 anni, di Seriate, ricorda: «L’anno scorso ho partecipato al pellegrinaggio diocesano tra Austria, Ungheria e Slovenia. A Roma ero già venuto diverse volte, ma questa è quella più straordinaria, che mi ha segnato molto, soprattutto nell’anno del Giubileo». Un pellegrinaggio «indimenticabile» lo ha definito Maria Fantoni, ottantenne di Mozzo. «Senti che qualcosa dentro ti cambia. Avevo già preso parte ad altri pellegrinaggi diocesani ma questo mi ha donato gioia, unità, preghiera che mi accompagneranno sempre», conclude l’anziana donna.

Nella carovana di pellegrini, anche due giovanissime. «Oltre a ricevere l’indulgenza, che è il motivo principale per cui sono venuta — spiega Emma Zenoni, tredici anni, di Calcinate —, ho approfittato della tappa giubilare a San Giovanni Rotondo per ringraziare san Pio da Pietrelcina della sua protezione: mia madre gli è molto devota per il dono che ha ricevuto con la mia nascita». Lobna Facchinetti, dodicenne, di Trescore, era già stata a Roma, «ma volevo tornarci e incontrare Leone XIV. È stato importante per me assistere alle messe, perché il vescovo nelle omelie è riuscito a rendermi comprensibili concetti difficili». Ad esempio riferendosi al significato della Porta Santa, che rappresenta Cristo: «Il gesto simbolico di attraversarla — aveva spiegato il presule — ci dice qualcosa di molto significativo per un credente: la mia vita, per poter entrare in una speranza che nessuna delusione può sconfiggere, deve passare attraverso Cristo, seguirlo, conoscerlo, amarlo, incontrarlo».

E proprio da filo conduttore al viaggio giubilare sono state le riflessioni di monsignor Beschi, che per ogni tappa contrassegnata da figure di santi e luoghi simbolo della cristianità ha dato una chiave di lettura. Occorre essere coraggiosi, ha esortato, «non rassegnarci alla brutalità, alla violenza e alla guerra e di alimentare la profezia della pace». La speranza, infatti, «ha bisogno di nutrirsi. Tutti speriamo, ma molto spesso vediamo che le nostre speranze sembrano denutrite», ha detto a Lanciano nella chiesa di San Francesco, santuario del miracolo eucaristico. Ecco allora che incontro ai cristiani viene Gesù, «il pane della speranza». La speranza scaturisce anche dal «perdono di Dio, una cosa prodigiosa. Soltanto Dio può perdonare i peccati — ha affermato a San Giovanni Rotondo — e sono convinto che l’umanità intera abbia un immenso bisogno del Suo perdono».

Il dono dell’Eucaristia è in grado di fare unità tra i cristiani. «Cristo — ha sottolineato il presule nella basilica di San Nicola di Bari — ci raduna in unità a partire dalle nostre infinite diversità. A volte, la diversità diventa motivo di disuguaglianze: invece la fede è capace di mantenere la ricchezza delle diversità richiamandole costantemente e ricomponendole nell’unità della stessa fede». Un invito a superare i contrasti per poter godere della pace, così come evidenziato da Leone XIV all’inizio del suo ministero: «Impegniamoci a fare delle nostre diversità un laboratorio di unità e comunione, di fraternità e riconciliazione». Per fare questo, il mondo ha bisogno di carità, «che non è prima di tutto fare, ma prima di tutto essere».

*Delegato vescovile per le relazioni istituzionali