· Città del Vaticano ·

A colloquio con Fouad Zmokhol, preside della Facoltà di Economia della Saint Joseph University di Beirut

Il Libano prova a rialzarsi dopo la guerra
e la crisi finanziaria

Cars drive near a building damaged during previous hostilities between Israel and Hezbollah, in the ...
14 luglio 2025

da Beirut
Giordano Contu

I profumi del bistrò in Rue Huvelin si mescolano fra le chiacchiere degli studenti. La strada prende il nome da un docente francese di diritto che fondò la facoltà di giurisprudenza dell’Università cattolica Saint-Joseph di Beirut. Si chiamava Paul. Rue Huvelin è anche un film che racconta il movimento studentesco durante la guerra civile libanese. Da questa strada proviamo a capire come il Paese dei cedri guarda oggi al proprio futuro. Dopo una delle peggiori crisi finanziarie della sua storia ci sono segnali concreti di ripresa. L’inflazione si è dimezzata a 60.000 lire per un dollaro. Il Pil, dopo aver perso il 60% negli ultimi cinque anni, sta risalendo. Il Libano ha imboccato la via delle riforme e del dialogo con le istituzioni internazionali. Un cambiamento, pur fragile, guidato da un nuovo impegno verso la trasparenza, la lotta alla corruzione, la responsabilità pubblica, il rilancio dell’economia reale.

«L’istruzione oggi è davvero importante. È il modo in cui forniamo alle nuove generazioni gli strumenti, i valori e la mentalità per costruire un Libano pacifico e unito», spiega ai media vaticani il professor Fouad Zmokhol, preside della Facoltà di economia e management della Saint Joseph University (USJ) di Beirut. «Attraverso il dialogo, la comunicazione e l’accettazione dell’altro stiamo costruendo il Paese di domani». Due studenti si fermano a parlare col docente mentre lo intervistiamo nel giardino alberato in Rue Huvelin. «I giovani che vedete qui rappresentano il Libano che vogliamo vedere: una generazione che rifiuta la guerra, la corruzione, la divisione». Zmokhol crede nell’educazione e nei giovani. Nel primo caso perché «crede che le idee delle nuove generazioni siano una “forza di rottura”».

Le parole di Zmokhol, imprenditore e presidente della International Confederation of Lebanese Businesspeople (Midel), ribadiscono che il capitale umano resta l’asset più prezioso del Libano. Eppure, molti giovani libanesi ancora emigrano in cerca di opportunità e di un futuro migliore. L’esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020 ha aperto gli occhi del mondo sulla crisi economica nel Paese. Un episodio che ha convinto varie aziende estere a lasciare il Paese dei Cedri e il governo a dimettersi, pressato dalle violente proteste di piazza.

La crisi però ha radici profonde. «Per 20 anni la Banca centrale del Libano ha difeso un modello finanziario basato sul debito a tasso fisso, con un cambio pari a 1500 lire libanesi per un dollaro, drenando i depositi della diaspora e finanziando un bilancio pubblico cronicamente in deficit», spiega Zmokhol. Inoltre, per attirare capitali esteri il governo, attraverso la Banca centrale libanese che garantiva per i singoli istituti bancari, ha riconosciuto tassi di interesse molto elevati a questi investitori. Finché è diventato impossibile ripagare gli interessi e poi anche il capitale. «L’ingranaggio si è inceppato nell’autunno 2019, quando la gente è scesa in piazza per denunciare la corruzione endemica e il prosciugamento della liquidità presente nelle banche». Per questo motivo, nel marzo 2020 il governo ha dichiarato la bancarotta del Paese, sigillando il sistema bancario. Ciò ha avuto un duplice effetto: la gente non poteva prelevare il proprio denaro in dollari dalla banca, mentre la svalutazione della lira libanese ha spinto oltre l’80% dei cittadini sotto la soglia di povertà. «La lira — prosegue il professore — aveva perso il 98% del suo valore e i risparmiatori oltre il 90% dei depositi in valuta. Senza un presidente della Repubblica e senza un governo stabile, per due anni la trattativa con il Fondo monetario internazionale (Fmi) è rimasta al palo. Una crisi aggravata poi dalla pandemia e dagli shock energetici internazionali. In cinque anni il Pil del Libano è precipitato da 50 a meno di 20 miliardi di dollari».

A inizio 2024 il nuovo esecutivo “Riforme e salvezza” ha riaperto la trattativa. «L’Fmi oggi promette aiuti fino a 4 miliardi di dollari in quattro anni in cambio di riforme serie: trasparenza nei bilanci pubblici, vigilanza potenziata sulla Banca centrale libanese e sui ministeri chiave, lotta all’evasione, ristrutturazione del sistema bancario. Il piano del governo comprende anche l’abolizione di alcuni sussidi, la digitalizzazione della pubblica amministrazione, il coinvolgimento della diaspora (oltre otto milioni di libanesi nel mondo) nella creazione di infrastrutture per la green economy e start-up». «La cooperazione mediterranea e l’accesso ai mercati africani sono ulteriori le leve della ripresa», conclude Zmokhol. Il cammino del Libano è ancora incerto, ma la volontà di cambiare è reale. La speranza a Beirut non suona più come qualcosa di illusorio. «È ora di voltare pagina: la pace sarà il pilastro più importante del nostro domani».