· Città del Vaticano ·

L’abbazia benedettina Mater Ecclesiae a Novara

Avamposto orante
contro guerre e conflitti

 Avamposto orante contro guerre e conflitti  QUO-161
14 luglio 2025

di Federico Piana

Il mondo spesso ne ignora l’esistenza. Alcune volte, con stucchevole sarcasmo, li giudica vecchi orpelli di una religiosità ormai inutile e sbiadita. Eppure, se si sapesse che in quei luoghi ameni e spesso dimenticati dagli uomini si combatte da secoli una battaglia senza tregua per la pace, i giudizi sarebbero meno duri e sprezzanti. Allora sì che i monasteri e i conventi di clausura sparsi in ogni angolo del pianeta potrebbero essere considerati alla stregua di centrali nucleari dove ogni giorno si mette a punto la “bomba atomica” più potente in assoluto: l’invocazione incessante dell’intervento di Dio capace di intenerire i cuori induriti dall’odio e dalla vendetta e di cambiare il corso della storia, in quest’ultimo periodo buio dell’era dell’umanità dominato da una Terza guerra mondiale che Papa Francesco, più volte, non ha esitato a definire «a pezzi».

A proposito di amenità, l’abbazia benedettina femminile di clausura Mater Ecclesiæ di Novara non fa eccezione. Adagiata nell’Isola di San Giulio, si affaccia sullo spettacolare specchio d’acqua del lago d’Orta e di primo acchito potrebbe trarre in inganno: cosa c’entra uno sparuto pugno di religiose con la guerra in Ucraina, con il conflitto in Terra Santa ed in Iran, con gli scontri civili in diverse nazioni africane e del Sud America, tanto per fare qualche esempio?

C’entra, eccome. Anzi, a sentire la badessa, madre Maria Grazia Girolimetto, è proprio dalle sveglie di buon mattino per dar vita a quelle orazioni cadenzate ad ora fissa come se non ci fosse soluzione di continuità che inizia a giocarsi la partita più importante contro il male. Che rimane imperturbabile davanti ai più moderni missili atomici, alle strategie militari più raffinate, al riarmo più becero pagato con i soldi sottratti alla sanità e all’assistenza ai poveri. Ma che risulta impotente di fronte a un Dio che si commuove a compassione quando sente la voce dei suoi figli supplicarlo invocando la pace.

«Mi vengono in mente — riflette la religiosa in un colloquio con «L’Osservatore Romano» — le parole dei padri della Chiesa che dicevano: se vieni a conoscenza dello scoppio di una guerra pensa che in fondo è anche colpa tua. E lotta contro l’orgoglio e l’odio che sono nel tuo cuore. Se vieni a conoscenza di una carestia che uccide pensa a tutto quel pane che tieni nella credenza e che rubi a chi ha fame. Se ti accorgi che la Chiesa è divisa ed i popoli si combattono ripeti: è anche causa mia, fin tanto che nel mio cuore resta un solo pensiero contro mio fratello».

Non basta la denuncia degli orrori e delle disfatte del mondo, in queste oasi così apparentemente tranquille si fa qualcosa di più: il male che si annida nel cuore dell’uomo si combatte alla radice. «E lo facciamo pregando, mettendoci davanti a Colui che può tutto. Lo facciamo senza moltiplicare discorsi ma in modo silenzioso. Nella Chiesa è fondamentale che questi luoghi di vita contemplativa esistano perché non solo testimoniano una vita di conversione ma anche perché si fanno carico dei dolori e delle angosce del mondo fino a consumarle e trasformarle in speranza di vita nuova».

Madre Girolimetto paragona i conventi ed i monasteri dove si pratica la preghiera di pace silenziosa a «delle vere e proprie Terre Sante dove si bruciano, nel rogo dello Spirito d’amore, tutte le discordie, tutte le inimicizie, tutte le dissonanze. E vengono armonizzate nell’orazione corale che ha una forza enorme: la preghiera fatta da una comunità unita giunge direttamente al cuore di Dio».

Laddove c’è una comunità orante c’è un presidio di pace. Ma allora perché il mondo le ignora? «Perché non conosce fino in fondo l’efficacia di questa preghiera nascosta. Però noi non dobbiamo preoccuparci di questo: il nostro compito è quello di essere testimoni di pace con la nostra vita. Il mondo ha bisogno di testimonianze così autentiche che parlino del Vangelo e di Gesù».

Alla madre badessa dell’abazia Mater Ecclesiæ sta anche stretto uno stereotipo che la società ha coniato per definire uomini e donne che scelgono di dedicare la propria esistenza alla contemplazione orante: «Si dice che fuggiamo dal mondo ma è l’esatto contrario: ci immergiamo in esso più profondamente per poterlo servire con l’orazione, ambito più vero della carità e della compassione».