· Città del Vaticano ·

A colloquio con il parroco di Gaza, padre Gabriel Romanelli

La resistenza della comunità cristiana allo stremo

epaselect epa12228475 Smoke rises following an Israeli airstrike in the northern Gaza Strip near ...
12 luglio 2025

di Roberto Cetera

«La farina è intorno ai 18 euro al chilo, i pomodori intorno ai 23 euro, una singola cipolla tra i 12 e i 15 euro. Per un chilo di zucchero ci vogliono almeno 100 euro. Ma intanto il caffè neanche amaro lo potremmo prendere: un chilo di caffè non costa meno di 250 euro». Il parroco di Gaza, padre Gabriel Romanelli, con una mestizia che non smentisce la speranza, ci aggiorna sul “borsino” della spesa quotidiana a Gaza. «Sia chiaro è un borsino abbastanza virtuale, perché prima di pagarle queste cose occorre trovarle. E quasi sempre è impossibile. Per i vegetali ci affidiamo, quando disponibili, ai piccoli orti di guerra che qualche contadino improvvisato ha allestito. Ma sempre più raramente, perché la maggior parte degli abitanti è scappata verso il sud della Striscia».

Alla domanda su cosa si riesca a mangiare in questi tempi così duri, Romanelli risponde: «Gli aiuti che avevamo immagazzinato durante la tregua ci hanno consentito di andare avanti in questi mesi, e anche di aiutare diverse famiglie musulmane che vivevano nel quartiere dove si trova la parrocchia. Dopo il blocco degli aiuti umanitari disposto da Israele — afferma — dal 3 marzo scorso non è più arrivato nulla, e perciò siamo stati costretti a tenere le derrate rimaste solo per noi, e anche a razionarle. D’altronde dalle case limitrofe al nostro compound sono andati via quasi tutti. Tutto intorno a noi c’è solo morte e distruzione. Giorno e notte siamo accompagnati dal rumore delle bombe che cadono anche a poche centinaia di metri dalla parrocchia. È assurdo, ma ormai dopo 21 mesi questi orrendi rumori delle esplosioni sono entrati nell’ordinarietà della vita quotidiana».

La comunità cristiana della parrocchia della Sacra Famiglia è rimasta composta da circa 500 persone. Spiega padre Gabriel: «Siamo accampati in ogni angolo della parrocchia. Prima del 7 ottobre i cristiani a Gaza erano 1017, circa 300 sono riusciti ad uscire dalla Striscia quando era ancora aperto il valico con l’Egitto di Rafah. 54 sono morti, 16 sono stati uccisi nel bombardamento che ha colpito la chiesa di san Porfirio del Patriarcato ortodosso. Qui dei nostri è stata uccisa nel novembre 2023 l’anziana musicista Elham Farah e un mese più tardi le due Nahida e Samar, madre e figlia, uccise appena fuori della chiesa. Gli altri cristiani morti sono comunque vittime della guerra: si tratta di persone malate (cardiopatici, diabetici, ecc.) che non hanno più potuto ricevere i medicinali necessari. Poi ci sono circa 50 tra disabili e bambini malati che sono curati amorevolmente dalle suore di madre Teresa».

Romanelli ammette che «ora c’è tanta stanchezza e preoccupazione perché percepiamo di essere rimasti quasi soli in questa zona. L’unica cosa che ci consente di rimanere coesi e con qualche speranza è la preghiera. In questa situazione la forza della preghiera è veramente grande, è l’unica cosa che ci tiene uniti e non ci precipita nella disperazione. Anche ricevere le vostre chiamate ci è importante, così come leggere i brevi articoli che i nostri giovani della parrocchia Suhail e Helda vi inviano. Grazie per pubblicarli anche in Inglese, almeno possono essere letti da più persone. Le telefonate che Papa Francesco ci faceva ogni sera sono state un grande sostegno. Sapere di essere una piccolissima porzione ma di una grande realtà che è la Chiesa universale, sapere cioè che più di un miliardo di cristiani nel mondo prega per questa piccola comunità disgraziata ci dà una grande forza di resilienza. Gli alimenti, le medicine, il diesel, sono per noi importanti quanto la preghiera. Senza la preghiera non saremmo arrivati fino ad oggi. La nostra e la vostra. Contiamo su di voi».