Il dono di sé

di Isabella Piro
Ha seguito Gesù dedicandosi a «una delicata opera educativa di promozione umana e di formazione cristiana», custodendo «con cura chi gli era stato affidato» e accettando di salire sulla croce: così il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei santi, ha sintetizzato la vita e l’eredità spirituale del marista Lycarion May (al secolo François Benjamin), beatificato oggi, 12 luglio, nella parrocchia di San Francesco di Sales a Barcellona, in Spagna.
Presiedendo il rito in rappresentanza di Leone XIV, il cardinale Semeraro si è soffermato sul contesto storico in cui il beato May ha subito il martirio, ovvero la cosiddetta «Settimana tragica» nella città catalana: alla fine del luglio del 1909, la popolazione insorse contro l’arruolamento obbligatorio decretato dal governo spagnolo. Chiese, conventi e istituti didattici cattolici divennero oggetto di violenze, tanto che nella notte tra il 26 e il 27 luglio la scuola dei fratelli maristi fu data alle fiamme e, il mattino successivo, i religiosi furono uccisi a colpi d’arma da fuoco. Fratel Lycarion — conosciuto come un religioso sollecito e coraggioso, dedito all’educazione cristiana dei fanciulli — fu il primo a perdere la vita e il suo corpo fu martoriato con colpi di pietra e di machete, a causa dell’odium fidei.
«Violenza chiama violenza», ha detto il porporato all’omelia, richiamando anche il tema della «guerra mondiale a pezzi» tante volte deplorata dal precedente Pontefice, Francesco. La figura del nuovo beato è dunque quanto mai attuale oggi, perché «il nostro pianeta è sconvolto da numerosi conflitti che, messi insieme, creano un quadro devastante di violenza, instabilità e sofferenza — ha rimarcato Semeraro —. Dagli scontri armati alle crisi umanitarie, passando per le disuguaglianze economiche e sociali, ci troviamo davanti a un ordine mondiale frammentato, in cui la pace sembra un miraggio sempre più lontano».
Chi, infatti, rimane chiuso nel proprio egoismo, scivola inevitabilmente verso «lo scontro, la lotta, la sopraffazione» da cui «scaturiscono dolore e morte», ha proseguito il cardinale prefetto. Al contrario, chi si apre all’altro «nella solidarietà, nell’amicizia, nella collaborazione, nell’incontro», proprio come ha fatto May, trasforma la propria esistenza in «dono di sé».
Educatore, fondare e direttore del Patronato Obrero de San José, una scuola situata a Pueblo Nuevo, quartiere socialmente difficile di Barcellona, fratel Lycarion «fu preso di mira perché era punto di riferimento di una comunità educativa e religiosa ed era proprio questo che con spirito anarchico e rivoltoso si intendeva colpire». Per il beato, infatti, ha evidenziato il porporato, «educare non era soltanto un trasferimento di nozioni, ma un vero e proprio atto di amore e di servizio che comporta il donare sé stessi per fare crescere l’altro». Ecco allora che «il suo martirio può essere considerato come il vertice e il sigillo della sua vita, il coronamento della sua coerenza di vita e della sua fedeltà alla sua vocazione marista».
In tal modo, egli ha messo in pratica il vero «stare con Gesù» che «vuol dire non stare mai fermi in un luogo, perché egli è sempre in cammino. Stare con Gesù vuole dire seguirlo».
Di qui, l’invito conclusivo del cardinale Semeraro a conformarsi alla volontà del Signore per compiere il suo disegno di salvezza.