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L’agenzia Reuters rivela un piano della Ghf per costruire campi per gli sfollati

Gaza: il giallo
delle aree di transito

 Gaza: il giallo delle aree di transito  QUO-159
11 luglio 2025

di Roberto Cetera

Secondo l’agenzia di stampa Reuters, la Ghf (Gaza humanitarian foundation), la discussa agenzia per gli aiuti umanitari alla popolazione di Gaza, fondata da Israele e Stati Uniti per sostituire Unrwa espulsa dalla Striscia dal governo israeliano, avrebbe approntato un piano per la realizzazione di campi per gli sfollati palestinesi, tanto all’interno che all’esterno della Striscia, denominati “Humanitarian transit camps”. In base a quanto riportato da Reuters, che ha potuto vedere il piano, l’obiettivo sarebbe quello di sostituire Hamas nel controllo della popolazione palestinese di Gaza. Un compito dunque ben ulteriore alla fornitura di aiuti umanitari. Il piano di realizzazione di questi grandi campi, il cui costo è stimato in 2 miliardi di dollari, sarebbe stato recentemente discusso — sempre secondo Reuters — alla Casa Bianca. L’accesso ai campi sarebbe su base volontaria e a carattere temporaneo, per «consentire la deradicalizzazione della popolazione, la sua reintegrazione e quindi la rilocalizzazione ovunque scelgano di andare». Ghf, interpellata dalla stessa Reuters, ha smentito la paternità del piano. Ma il ministro della Difesa israeliano Katz ha parlato però di un piano per la realizzazione di una «città umanitaria» da costruire sulle macerie di Rafah, i cui lineamenti e scopi sarebbero sostanzialmente analoghi al progetto svelato da Reuters.

Ghf è stata fondata nel febbraio scorso ed è diventata operativa solo quando il blocco degli aiuti umanitari, disposto da Israele il 2 marzo e durato ben 11 settimane, aveva determinato un’insostenibile e tragica situazione tra la popolazione. Il 25 maggio scorso, solo poche ore dopo l’inizio delle operazioni, il direttore Jake Wood, un ex marine americano con esperienze umanitarie, ha rassegnato le dimissioni esprimendo perplessità sull’effettiva imparzialità dell’organizzazione. Wood è stato poi sostituito dal pastore Johnnie Moore jr., leader degli evangelicali americani, supporter di Trump e Netanyahu e sostenitore degli insediamenti ebraici nei territori occupati di Palestina, sulla base di una visione teologica messianica. Dall’inizio delle operazioni della Ghf fino alla fine di giugno sarebbero 773 i palestinesi uccisi e oltre 5.000 i feriti nelle lunghe file formatesi per il ricevimento delle razioni di cibo. Le responsabilità sarebbero principalmente dei contractors israeliani arruolati da Ghf per garantire la sicurezza dei siti di distribuzione, se non anche direttamente dalle forze armate israeliane. Israele rifiuta questa versione attribuendone piuttosto la responsabilità alla rivalsa di Hamas, perché estraniata dalla distribuzione degli aiuti, prima svolta dalle agenzie delle Nazioni Unite.

Fatto è, però, che diverse testimonianze audiovisive smentiscono questa versione e piuttosto coinvolgono nella responsabilità degli assassinii di massa anche la gang paramilitare araba Popular Forces, guidata dal predone di aiuti Abu Sharab, una figura già dedita al traffico di droga e alle rapine, che secondo l’ex ministro della Difesa israeliano e parlamentare, Avigdor Lieberman, sarebbe supportato e finanziato da Netanyahu in chiave anti-Hamas. Il fallimento delle operazioni condotte dalla Ghf ha sollevato le critiche non solo di Unrwa e delle altre agenzie delle Nazioni Unite estromesse da Israele, ma anche di molte ong internazionali, come Oxfam, Save the Children e Amnesty International. L’accusa principale è quella di aver costretto centinaia di migliaia di palestinesi sfollati ad entrare nelle aree di distribuzione sovraffollate e militarizzate, preparandone di fatto la migrazione forzata. Non ci sono informazioni precise su come Ghf sia finanziata e da chi, ma si sa che il costo delle operazioni - comprensivo sia degli aiuti sia della logistica - ammonta a circa 140 milioni di dollari al mese. Le estenuanti attese nelle lunghe file dei richiedenti aiuto servirebbero tra l’altro ad attivare i sistemi di riconoscimento facciale per individuare possibili miliziani di Hamas. All’inizio delle sue attività, e nella fase di preparazione, Ghf si è avvalsa della collaborazione di una delle più grandi società di consulenza strategica, il Boston consulting group, che però il mese scorso ha terminato il suo contratto, in seguito a polemiche interne che hanno portato al licenziamento di due senior partners. Ugualmente, l’ufficio di Ginevra di Ghf è stato chiuso; le autorità svizzere hanno ritenuto che l’organizzazione non fosse compatibile con le regole federali in tema di fondazioni ed hanno avviato un’inchiesta. Malgrado queste severe reazioni della comunità internazionale, a quella che più di un’iniziativa umanitaria sembra un’operazione di supporto e fiancheggiamento all’esercito israeliano, ancora in queste ore si continuano a contare i morti ammazzati nelle file di disperati in cerca di un tozzo di pane.