«Io ragazza sfollata

di Helda Ayyad
Scrivo queste parole dal cuore del dolore: la parrocchia di Gaza dove mi trovo a vivere da sfollata da quasi due anni di guerra. E le scrivo da studentessa che desidera parlare al mondo.
Prima che completassi gli esami di maturità i miei giorni erano pieni di attesa e speranza. Quando lessi i risultati — un eccellente 97,4 — pensai che le porte di un futuro radioso si erano spalancate sul mio futuro. Già mi vedevo camminare nei corridoi e nelle aule dell’università, tra lezioni, conferenze e dibattiti a costruire il futuro con le mie proprie mani. Il mio sogno di entrare all’università non era solo un desiderio ma il frutto di anni di duro lavoro, di perseveranza e una profonda sete di conoscenza ed insegnamento.
Ma la guerra ha cambiato tutto. Invece di frequentare il mio terzo anno di università oggi mi trovo lontana da ogni aula e bloccata in una triste inimmaginabile realtà. Tento ancora di imparare qualcosa attraverso uno schermo, cercando qualche scampolo di speranza in circostanze che mortificano ogni possibile sogno ed ambizione. Ogni giorno della mia vita sono derubata di una vera esperienza universitaria, e con essa anche del mio tempo, delle mie aspirazioni e in fondo di me stessa.
Il mio dolore non è solo quello di essere privata di un più alto livello di istruzione universitaria. È il dolore più profondo di perdere una vita per come dovrebbe essere vissuta. Come può un’anima assetata di conoscenza crescere in un ambiente privo anche degli elementi di vita più basilari? Mi mancano le aule, le discussioni tra noi studenti, le sfide che formano la propria personalità, che rinfrescano l’anima, che strutturano la mente.
Io non cerco un diploma di laurea. Io cerco uno spazio in cui vivere, fare esperienza di vita, in cui crescere come persona. Sogno un ambiente in cui mi sia possibile trovare me stessa, imparare, rifiorire e contribuire a costruire un futuro migliore per me e per chi mi è attorno.
In questo buio la mia fede cristiana rimane sempre la luce che mi guida, mi dà forza e mi suscita una speranza che non delude. Nelle mie preghiere porto questa speranza e i miei sogni, insieme al mio dolore, convinta che Dio mi ascolti e prepari un nuovo cammino per la mia vita. Porto con me le parole di Geremia: “Conosco i progetti che ho per voi, dice il Signore, progetti di pace e non di sventura per concedervi un futuro pieno di speranza” (Ger 29,11). Io non chiedo l’impossibile ma i più semplici tra i diritti: vivere, imparare, poter perseguire i miei obiettivi di vita. E continuo a credere con fede che il dolore attuale si tramuterà in qualcosa di grande: l’inizio di una nuova vita e la comparsa di nuove opportunità educative.
Dall’interno di questa chiesa, che è per noi anche un rifugio dalle bombe, io innalzo la mia voce sperando che qualcuno nel mondo l’ascolti.