· Città del Vaticano ·

L’incontro di oggi tra Trump e Netanyahu

A Washington
il destino di Gaza

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu con la moglie Sara Netanyahu in partenza per gli Stati ...
07 luglio 2025

di Roberto Cetera

La possibilità di un cessate il fuoco a Gaza non passa solo da Doha, dove ieri sera è giunta la delegazione israeliana inviata a negoziare il rilascio degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas e su quale possa essere il futuro governo di Gaza, ma da Washington dove oggi il premier israeliano Benjamin Netanyahu incontra il presidente americano Donald Trump. È la terza volta dall’inizio della nuova amministrazione americana che i due leader si incontrano.

I precedenti incontri, malgrado le intenzioni originarie di Trump, non hanno portato ad alcun risultato. Segno di una non totale coincidenza di vedute. Così come, tutti i negoziati precedenti in Qatar o al Cairo, svolti anche con la mediazione americana, non sono approdati ad una soluzione del conflitto, rompendo le trattative ogni volta che pure si trovavano alle ultime battute.

Il punto di rottura rimane anche oggi quello delle precedenti occasioni, cioè la contesa tra tregua temporanea con restituzione degli ostaggi — reclamata da Israele — e fine definitiva della guerra — richiesta da Hamas. Tutte le precedenti mediazioni americane sono franate su questo punto. E sul conseguente futuro possibile governo di Gaza. Israele potrebbe aderire alla proposta di una chiusura definitiva del conflitto solo successivamente alla presa in controllo dell’intera Striscia, al rilascio degli ostaggi, e alla consegna delle armi da parte di Hamas. Dal canto suo l’organizzazione islamista non accetta l’idea di una sostanziale annessione di Gaza allo stato israeliano.

A complicare ulteriormente è poi la pressione a continuare la guerra che i ministri della destra oltranzista Ben Gvir e Smotrich esercitano su Netanyahu, senza il cui consenso il suo governo cadrebbe immediatamente. Se questi precedenti potrebbero indurre ad una previsione pessimistica sugli incontri delle prossime ore, dall’altro lato c’è da rilevare che lo scenario attuale appare abbastanza diverso rispetto alle negoziazioni precedenti. In entrambi i campi. Dal lato palestinese la forza militare di Hamas è ridotta al lumicino, gli alleati delle milizie sciite sono ormai alle corde, la sua leadership è stata eliminata al 95%, e la stessa base di consenso tra la popolazione palestinese a Gaza si sostiene sulla paura.

Hamas ha bisogno della fine della guerra, fosse solo per dileguarsi. Nondimeno in Israele l’ipotesi di un cessate il fuoco con un rilascio solo parziale degli ostaggi susciterebbe reazioni ancora più arrabbiate di gran parte dell’opinione pubblica contro il governo. Per non parlare del crescente risentimento internazionale alla situazione umanitaria di Gaza, con la fallimentare gestione degli aiuti da parte dalla fondazione israelo-americana GHF, in sostituzione dell’Unrwa.

Ma l’elemento che più apre qualche spiraglio di speranza è dato dal rapporto diretto che gli emissari degli Stati Uniti hanno intrapreso con i vertici di Hamas, che lo scorso maggio portarono alla liberazione, senza contropartite, dell’ostaggio americano Edan Alexander. C’è da supporre che se gli americani offrissero ad Hamas la loro garanzia a che nel corso della tregua si conducessero serie trattative per la fine della guerra (diversamente da quanto fatto da Israele nel marzo scorso) la dirigenza islamista probabilmente accetterebbe l’accordo. Ma sullo sfondo rimane il condizionamento che la destra israeliana esercita sulla sopravvivenza del governo Netanyahu. Vedremo nelle prossime ore.