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In Israele molte abitazioni di arabi-palestinesi e beduini sono prive di rifugi antiaerei

La guerra non è uguale
per tutti

 La guerra non è uguale per tutti  QUO-151
02 luglio 2025

di Roberto Cetera

«La guerra non fa distinzioni e colpisce tutti», si dice sempre. Vero, ma non colpisce tutti allo stesso modo. I dodici giorni della guerra contro l’Iran hanno mostrato con ancora più evidenza le distanze che esistono in Israele e nei territori occupati di Palestina tra abitanti di serie A e di serie B, e, nel caso dei beduini, anche di serie C. L’efficienza dell’apparato militare israeliano non è risultata pari a quella delle strutture di protezione dai bombardamenti iraniani in risposta alla sua aggressione. Ma le lacune si sono mostrate tragicamente differenti a seconda dei luoghi e dei loro abitanti. L’organizzazione israeliana per i diritti umani Bimkom, specializzata in pianificazione territoriale, ha posto in rilievo come il 26 per cento delle case in Israele sia privo di rifugi protettivi e che questa percentuale salga al 46 per le case abitate da palestinesi o arabofoni; un dato forse sottostimato, aggiungono.

Nel nord di Israele e ad Haifa in particolare la mancanza di rifugi disponibili ha creato il panico tra la popolazione arabofona pur con cittadinanza israeliana. Una mancanza che, secondo il rapporto presentato da Bimkom, è conseguente a una pianificazione urbana molto restrittiva nelle zone abitate da israeliani di etnia palestinese o arabofoni che riguarda tanto le abitazioni private quanto gli edifici pubblici privi di shelters. La situazione più grave è però quella della popolazione beduina che vive principalmente a sud, nelle aree limitrofe al deserto del Negev, e a nord nella parte orientale della Galilea: circa trentacinque villaggi di quasi 100.000 abitanti. Le stesse abitazioni beduine sono molto precarie, costruite con lamiere e blocchi di tufo; figurarsi se ci sono rifugi. Ma anche altri 200.000 beduini che hanno accettato di vivere in proprie case di aree urbane a sviluppo intensivo non hanno sufficienti protezioni da eventuali attacchi aerei. C’è peraltro da notare che molte di queste aree e villaggi si trovano, nel sud di Israele, accanto a basi militari e aeronautiche che sono state bersaglio preferenziale dei razzi provenienti dall’Iran.

Nell’aprile 2024, in un attacco iraniano contro la base aerea del Negev (da dove partono i cacciabombardieri con la stella di Davide), una bambina beduina, Amina al-Housani, venne gravemente ferita nel villaggio di al-Furah. Secondo l’organizzazione umanitaria, sarebbero circa 10.000 i luoghi abitati da beduini nel Negev che non godono di alcuna infrastruttura protettiva in caso di guerra, e i rifugi utilizzabili in tutta la regione non superano le 250 unità. D’altronde la realizzazione di rifugi e camere di sicurezza nelle abitazioni private sono a carico dei residenti e le fasce di popolazione più deboli non sono in grado di realizzarle.

Le differenze nella realizzazione di rifugi di protezione trova il suo apice a Gerusalemme Est. Le immagini della Città Vecchia diffuse durante i dodici giorni di guerra mostravano le pesanti porte storiche nelle mura di Solimano il Magnifico sbarrate e controllate dalla polizia israeliana. L’accesso alla Città Vecchia era proibito proprio a causa dell’assenza nel quadrante di un qualsivoglia rifugio di sicurezza, per quanto potesse essere improbabile che gli iraniani puntassero i loro missili proprio su quell’obiettivo. Mentre nella Gerusalemme Ovest israeliana si contano più di duecento rifugi pubblici, nella Gerusalemme Est palestinese se ne conta uno solo. Anche i rifugi collocati nelle scuole sono in misura largamente inferiore a Gerusalemme Est e, soprattutto, i rifugi non sono indicati — lamenta Bimkom — nelle mappe diffuse dalla municipalità, per cui gli abitanti non saprebbero neanche come raggiungerli. «Questi buchi nella protezione di tutti gli abitanti», spiega a «L’Osservatore Romano» Michal Braier, membro dell’organizzazione, «sono solo una parte dell’abisso rappresentato dalle distanze socio-economiche nella popolazione, dalle disparità esistenti fra ebrei e arabi in tema di accesso alla terra, di autorizzazioni all’edificazione, di opportunità di costruzione. È una forma strutturata di violenza contro la minoranza palestinese in Israele che nega diritti essenziali, come quello all’abitazione».