«La Chiesa si fidi di noi,

di Guglielmo Gallone
«Chiediamo alla Chiesa di fidarsi di noi. Lasciateci servire e lasciateci crescere»: è questo il cuore del messaggio contenuto nel Manifesto dei giovani cristiani d’Europa, presentato questa mattina presso la Sala stampa della Santa Sede. Un documento audace che, sfidando la complessità di un continente sempre più anziano dal punto di vista demografico, mette al centro proprio i giovani e che, contando sul sostegno di numerose conferenze episcopali, diocesi, parrocchie e movimenti ecclesiali, cerca di rispondere alle domande di senso che sono alla base di questa deriva demografica, sociale, economica e politica. Attraverso uno strumento semplice ma potente: mettersi in cammino.
L’entusiasmo dei tantissimi ragazzi provenienti da ogni parte del mondo e immersi nel progetto “Roma 25 - Santiago 27 - Gerusalemme 33” si percepisce fin dalle prime righe: «Non siamo turisti spirituali. Siamo pellegrini di significato — scrivono — arriviamo con zaini pieni di dubbi, ferite, canti e speranza. E con una certezza nel cuore: Cristo è vivo. E ci chiama». Promossa dalla Conferenza episcopale spagnola, l’iniziativa si inserisce nel cammino pastorale ed evangelizzatore promosso dal Dicastero per l’Evangelizzazione in preparazione al Giubileo. La proclamazione ufficiale del Manifesto è prevista per venerdì primo agosto 2025, presso la basilica di Santa Maria in Trastevere, nell’ambito del Giubileo dei Giovani. Oggi, dopo i saluti istituzionali di Matteo Bruni, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, il vescovo di Palencia, Mikel Garciandía Goñi, ha raccontato la genesi di questa iniziativa, ricordando come il progetto sia nato mentre si trovava a Mont Saint-Michel e, grazie all’impulso della Conferenza episcopale spagnola, abbia poi preso forma in una prospettiva europea, che «non finisce a Roma, ma comincia da Roma» per proseguire a Santiago nel 2027 e a Gerusalemme nel 2033. Un itinerario che, secondo padre Antonio Ammirati, segretario generale del Consiglio delle conferenze episcopali europee, s’inserisce nel lavoro avviato all’indomani del Concilio Vaticano II, per rafforzare la collaborazione tra le Chiese del continente, e che deve cogliere l’invito fatto da Papa Francesco a «svestire l’abito del turista e indossare quello del pellegrino».
Un messaggio che trova eco nelle parole di monsignor Graziano Borgonovo, sottosegretario del Dicastero per l’Evangelizzazione, che ha sottolineato come già Dante distinguesse i pellegrini in base alla meta: palmieri, coloro che vanno oltremare; pellegrini, chi va alla casa di Galizia; romei, chi si dirige a Roma. «Seguire Cristo non è restare fermi — ha detto Borgonovo — ma lasciare la comodità, il cinismo, l’indifferenza. È mettersi in cammino». E le parole dei giovani nel Manifesto evocano un futuro che non finisce, ma che si compie «nella vita eterna promessa dal Padre, conquistata dal Figlio e sigillata in noi dallo Spirito». È questo, ha aggiunto, il senso profondo di ogni Giubileo: rianimare la speranza.
Una missione non facile perché, come ribadito da monsignor Marco Gnavi, parroco di Santa Maria in Trastevere, il contesto esistenziale in cui vivono oggi i giovani è fatto di «cambiamenti dolorosi. Il pellegrinaggio non offre risposte semplici, ma suggerisce alla Chiesa di ascoltare i giovani. In questo senso dovremmo dunque domandarci cosa significa il noi, all’interno della Chiesa, nell’epoca dell’individualismo e dell’io», ha aggiunto monsignor Gnavi evidenziando che «i giovani non si sottraggono a queste domande di senso» e anzi cercano luoghi in cui essere ascoltati, valorizzati, protetti.
Preghiere piene di umiltà che sono state accolte da monsignor Francisco José Prieto Fernández, arcivescovo di Santiago de Compostela, secondo cui bisogna dare sempre più risalto alle parole dei pontefici sull’Europa, e dal patriarca di Gerusalemme dei Latini, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, che in un messaggio dalla Terra Santa ha espresso riconoscenza per l’itinerario tracciato capace di unire i cristiani «dalla Giordania a Cipro, fino a Palestina e Israele» e che «potrà essere un piccolo tassello per un mondo pacificato». La stessa speranza che anima monsignor Paolo Giulietti, arcivescovo di Lucca, secondo cui il Manifesto deve restituire ai cammini la loro radice religiosa.
Animati da questi desideri, in cerca di un’istituzione capace di valorizzarli e dunque di una Chiesa in ascolto, non perfetta ma credibile, tantissimi ragazzi cercheranno di applicare quanto scritto nel Manifesto dei giovani cristiani europei. Un testo, ha ricordato infine il giovanissimo Fernando Moscardó Vegas, nato «da una ferita e da una sete di senso», ma anche un atto di fede e una chiamata alla speranza. «Non siamo venuti a fare politica – ha concluso – bensì a proclamare il Vangelo, a lanciare una bandiera spirituale e missionaria». Di cui l’Europa intera, oggi, ha sempre più bisogno.