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Lettere dal Direttore

Gassman e Villaggio
un’amicizia di frontiera

 Gassman e Villaggio  un’amicizia di frontiera  QUO-149
30 giugno 2025

Il 29 giugno 2000 lasciava la scena di questo mondo forse il più grande attore italiano, Vittorio Gassman. Qualche anno prima, il 30 dicembre 1993, in occasione del sessantunesimo compleanno del suo grande amico Paolo Villaggio, Vittorio gli aveva scritto un biglietto che mi ha colpito per la sua intensità e che mi sembra opportuno riproporre all’attenzione dei lettori insieme a un estratto di un’intervista che realizzai nel lontano 1997 con lo stesso Villaggio.

 

Nel luglio del 1997 intervistai Paolo Villaggio per il quotidiano «Il Popolo» e parlammo per un paio d'ore, la conversazione si sarebbe potuta chiamare «brevi cenni su Dio e sull’universo». Trovai in lui tutta la dimensione tragica dei suoi personaggi ma anche, al di sotto dell’ironia tagliente e iperbolica con cui si faceva schermo, un fuoco acceso, fatto anche di desiderio e nostalgia. Ecco qui di seguito alcuni passaggi di quel lungo colloquio:

«Viviamo in un mondo vuoto. La funzione dell’integralismo è proprio questa: opporsi al vuoto. L’integralismo ha capito che la cultura occidentale portava come messaggio soltanto il denaro, il benessere ed il consumo… valori surrogati che niente hanno a che vedere con la felicità. Gli Stati Uniti sono emblematici in questo, nell’aver sostituito la felicità con miseri surrogati, infatti non c’è un Paese più infelice degli Stati Uniti. L’integralismo rappresenta una diga, una reazione a questa infelicità; una risposta a volte anche violenta, una violenza che sa, se vogliamo, di Controriforma. (…) La morale in Occidente è cambiata perché nel mondo l’unica vera fede rimasta è quella nel denaro. Una volta la fede ci spingeva a credere nell’“oltre”, nell’“avere dopo”. Se non hai questa fede tendi invece ad accaparrare tutto e subito. Spesso vado ai funerali, e spesso avverto la mancanza di fede nel dopo, nell’aldilà. Quella tristezza, quei colori neri, quel senso di dolore insanabile che non trova opposizione nemmeno dal prete, mi sembrano tutti segnali di un atteggiamento sbagliato. Non sento, insomma, la gioia che la speranza del paradiso dovrebbe dare e che spinge la Chiesa a festeggiare il santo nel giorno della sua morte. (...)

Noi cristiani non abbiamo fede nel Paradiso, non lo conosciamo neppure. Senza qualche terzina di Dante noi saremmo al buio più completo su quanto concerne l’aldilà. C’è un’intuizione di Dante formidabile, quando riassume in unico verso quasi tutti i dogmi della Chiesa: «Vergine Madre, figlia del tuo Figlio…» L’intuizione e la capacità di Dante sono mirabili, emozionanti, ma, oltre a questo, purtroppo, come si fa a credere? Non saprei a cosa e a chi appoggiarmi. Il sogno di chiunque, soprattutto, di chi si ri-avvicina alla fase più importante della propria vita, a quel grande salto verso la felicità o il buio che è la morte, sarebbe quello di poter credere. Personalmente sarei disposto a tutto pur di credere ma mi sembra francamente troppo difficile».

Infine c’è questa frase che è uno splendido ossimoro, ma me ne rendo conto solo ora, dopo 28 anni: «Come cattolici, crediamo che a reggere l’universo ci sia la volontà di Dio ma personalmente credo che non ci sia niente se non il caos. Noi siamo vivi per miracolo».