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Semi di Speranza La comunità della Valle del Sacco si ribella: “no” alle fabbriche di armi, “sì” alla pace

Il vero limite invalicabile

 Il vero limite  invalicabile  ODS-033
05 luglio 2025

di Piero Di Domenicantonio

«Attenzione. Proprietà privata. Limite invalicabile. Sorveglianza armata». Il cartello non lascia dubbi. Oltre non si può andare. D’altra parte, al di là del cancello dipinto di azzurro e della recinzione di filo spinato, sembra che ci sia poco da vedere. Solo le sagome di capannoni di una fabbrica dismessa, una delle tante che, a partire dagli anni ‘60, si sono insediate nel territorio della Valle del Sacco, tra Colleferro e Anagni, al confine tra la provincia di Roma e quella di Frosinone. Grazie all’Autostrada del Sole, che corre a qualche centinaio di metri di distanza, tante imprese hanno aperto qui le loro fabbriche offrendo il posto fisso a una popolazione che viveva principalmente di agricoltura. Ma, poi, finiti i fondi della Cassa per il Mezzogiorno e con la crisi della chimica e della metalmeccanica, hanno chiuso i battenti, lasciandosi alle spalle una scia di rifiuti tossici che hanno inquinato le falde acquifere e il terreno.

Da qualche mese è cominciata, però, a girare voce che quel cancello dipinto d’azzurro riaprirà. Ma la comunità locale non è affatto contenta. Anzi, quella fabbrica non la vuole proprio.

«Siamo di fronte all’ingresso dell’ex stabilimento della Winchester», ci dice Alberto Valleriani, uno degli animatori della Rete per la Tutela della Valle del Sacco (Re.Tu.Va.Sa.). «Qui si producevano principalmente cartucce per fucili da caccia. Poi, una trentina di anni fa, la fabbrica ha chiuso e lo stabilimento è stato acquisito dalla Simmel Difesa, un’azienda attiva nella produzione di munizioni di medio e grosso calibro già presente nel comune di Colleferro. Il progetto era quello di destinare il sito allo smaltimento di munizioni obsolete, ma non so se questa attività sia mai stata svolta in maniera continuativa».

E adesso che succede? «Qualche mese fa siamo venuti a conoscenza di un nuovo progetto che riguarda questa area. La knds, la società italo-francese che ha “ereditato” la Simmel Difesa, ha intenzione di produrre qui nitrogelatina, una sostanza esplosiva funzionale al lancio di proiettili di artiglieria di grosso calibro. 150 chili di esplosivo all’ora».

La popolazione, almeno un’ampia fetta di questa comunità locale che da anni si batte per la riqualificazione della Valle del Sacco, non l’ha presa bene. «Ci siamo subito messi in allerta», spiega Alberto che in questo territorio è nato e ci vive. «È dal 2003 che abbiamo cominciato a mobilitarci contro l’industria bellica che ha una forte presenza nel nostro territorio. Erano i tempi della guerra nel Golfo e venimmo a sapere che nello stabilimento della Simmel a Colleferro si producevano “clusters bombs”, le famigerate bombe a grappolo che, poi, l’Onu ha messo al bando. Facemmo tante manifestazioni, coinvolgendo buona parte della popolazione. Così ho iniziato a studiare la questione della produzione e vendita di armi — nel mio archivio c’è tutta la legislazione italiana su questo tema e tanto altro — e a scrivere alcuni report. Uno di questi è stato pubblicato da Pacelink, la rete telematica italiana per la pace, e utilizzato — perché non c’erano altri studi in materia — per le interpellanze parlamentari che furono presentate nel 2007 dopo un grave incidente nello stabilimento di Colleferro che provocò la morte di una persona e il ferimento di altre 13».

Da questa storia è nata, nel 2008, l’Assemblea No War Valle del Sacco, alla quale ReTuVaSa ha aderito, che insieme con usb (Unione Sindacale di Base) ha promosso lo scorso 3 maggio una manifestazione proprio davanti al cancello della fabbrica della knds per dire “no” alla produzione di nitrogelatina e “sì” alla pace. «ReTuVaSa sta per Rete per la Tutela della Valle del Sacco — precisa Alberto —. È nata dalla sinergia tra cittadini di Colleferro, Anagni e Ferentino, sensibili alle tematiche pacifiste, sociali e ambientali. Il nostro territorio ha subito negli scorsi decenni un inquinamento fortissimo — tant’è che nel 2005 è stato dichiarato “sito di interesse nazionale” di bonifica —, un inquinamento provocato da una industrializzazione in gran parte selvaggia. Ad oggi, dopo 20 anni, le attività di bonifica sono ancora in corso. Nell’area dei comuni di Colleferro, Segni e Gavignano è stato registrato un tasso di tumori superiore alla media. Non si può barattare la salute con la promessa di un posto di lavoro in fabbrica. La popolazione se ne è resa conto e si è mobilitata. Insieme abbiamo fatto campagne di informazione, manifestazioni di piazza e presidi. A Colleferro siamo riusciti a impedire la riapertura di due linee di incenerimento dei rifiuti. Ci piazzammo sulla strada impedendo il passaggio del primo camion che trasportava pezzi per gli impianti. Fu un gesto pacifico di resistenza che si rivelò efficace. Insieme con noi c’erano anche alcuni sindaci dei comuni della zona. Oggi — dopo l’approvazione del decreto sicurezza — quello stesso gesto ci avrebbe portati dritti dritti in galera».

Anche di fronte al progetto dell’apertura dello stabilimento per la produzione di nitrogelatina, la protesta è cominciata dal basso, grazie al lavoro svolto da Alberto e dagli altri attivisti locali. «La nostra è la strategia delle quattro “co” — dice Alberto —: conoscenza, comunicazione, consapevolezza e coscienza. Sono quattro passaggi sequenziali e nessuno può prescindere dall’altro. Innanzitutto, bisogna acquisire conoscenze, ovvero monitorare quello che avviene nel territorio, reperire informazioni certe, studiare, capire. Questo non è sempre facile quando si parla di armamenti, ma qualche volta la fortuna ti aiuta. Abbiamo captato l’intenzione della knds scorrendo il sito della Regione Lazio. Per sbaglio, il progetto era stato pubblicato online in anticipo rispetto alla tempistica per la valutazione pubblica, tant’è che poi è stato rimosso. Ma, intanto, noi lo avevamo potuto scaricare e cominciare a studiare. Sulla base dei dati raccolti è iniziata una campagna di comunicazione dal basso — perché i media tradizionali non è che ci sono stati molto a sentire —, attraverso la quale abbiamo informato le comunità locali. È così che nasce la consapevolezza del problema e si forma la coscienza, fornendo alle persone gli strumenti per fare le proprie scelte e per far sentire la propria voce».

Per Alberto non si tratta, però, di una questione solo locale. Lui, che di professione fa l’elettricista e non ha mai ceduto alle proposte di partecipare a competizioni politiche, sa che la pace ha bisogno soprattutto di coerenza (un’altra “co”!) tra parole e azioni. Una cosa di buon senso che la politica, però, sembra aver completamente dimenticato. Mentre il mondo va in fiamme, dall’Ucraina alla Palestina, le parole pace e sicurezza vengono “tradotte” in piani di riarmo e di guerra. «Bisognerebbe avere il coraggio — dice Alberto — di revocare il Nobel per la pace a questa Europa che stanzia investimenti stratosferici per la produzione di armi». Milioni di euro sottratti a ciò di cui oggi ci sarebbe più bisogno per garantire a tutti il diritto al cibo, alla salute, all’istruzione, alla casa, a quel benessere e a quella giustizia che sono alla base di una convivenza pacifica.

Nessuno parla più della proposta lanciata da Papa Francesco nell’enciclica «Fratelli tutti» e rilanciata nella bolla di indizione del Giubileo della Speranza per costituire con il denaro che si impiega nelle armi e nelle spese militari «un Fondo mondiale per eliminare la fame e per lo sviluppo dei paesi più poveri». Al contrario: si alimentano gli appetiti dei produttori e dei trafficanti di armi e delle lobby politiche e finanziarie che li sostengono.

«Anche il progetto della knds ad Anagni — spiega Alberto — è frutto di queste politiche. La knds è l’azienda che ha ricevuto il maggior numero di fondi stanziati dopo lo scoppio della guerra in Ucraina nel piano europeo del 2023 per il finanziamento delle industrie belliche noto come Asap (Act in Support of Ammunition Production). E altri soldi arriveranno con l’iniziativa “ReArm Europe”. È una cosa spaventosa. Tutto questo mentre continua lo sterminio a Gaza e viene impedito l’arrivo di aiuti umanitari alla popolazione».

«Vogliamo proteggere il nostro territorio — continua Alberto —. Nessuno sa di preciso cosa potrebbe accadere nel caso che si verificasse un incidente in questa fabbrica. Non ci sono studi appropriati in proposito. Sappiamo solo che la nitrogelatina è più stabile della nitroglicerina, ma ha comunque effetti devastanti. Visto che oggi l’intelligenza artificiale viene usata anche per fare la guerra, noi lo abbiamo chiesto a ChatGpt che ha risposto dicendo che 150 chili di materiale (quello che è previsto di produrre ogni ora) provocherebbe “un evento estremamente distruttivo”. È facile ipotizzare che colpirebbe anche l’autostrada, che passa a qualche centinaio di metri da qui, e incendierebbe la vicina Macchia di Anagni che è uno degli ultimi lembi di foresta planiziale rimasti nella Valle del Sacco». «Ma il problema — continua — non è solo questo e, soprattutto, non è solo nostro. Lo sviluppo non passa per le bombe e la guerra. Abbiamo bisogno di costruire una cultura della pace. Noi lo stiamo facendo con le nostre poche risorse e il nostro modo di fare, la nostra costanza, la nostra coerenza, rifiutando ogni tipo di compromesso e di rassegnazione. Va fatto per noi e per i nostri figli».

Con Alberto, prima di salutarci, torniamo a guardare quel cartello accanto al cancello dipinto di azzurro della fabbrica che vorrebbero riaprire per produrre nitrogelatina. E, senza parlare, ci diciamo che il vero “limite invalicabile” è quello oltre il quale l’uomo rinuncia alla propria umanità: un limite che non ha bisogno di sorveglianza armata.