· Città del Vaticano ·

Aprire gli occhi sulle povertà diffuse della città

 Aprire gli occhi sulle povertà diffuse della  città  ODS-033
05 luglio 2025

Per introdurci in questo viaggio nelle “trincee della speranza”, le estreme periferie di Roma, quelle segnate dall’abbandono e dallo stigma sociale, abbiamo chiesto aiuto a chi, il 25 ottobre dello scorso anno, le ha raccontate davanti a Papa Francesco durante l’assemblea diocesana tenutasi nella basilica di San Giovanni in Laterano sul tema «Ricucire lo strappo – Oltre le disuguaglianze». In quell’occasione Daniene Leppe ha usato parole forti. Ha parlato di “una realtà invisibile…”, di quartieri popolari dimenticati dalle istituzioni, dove le persone “tornano ad essere cittadini come gli altri solo in occasione delle campagne elettorali”, di territori in mano alla criminalità, di “una trincea dove anche Dio ha abbandonato tutti”. Parole all’apparenza senza speranza — come le tante narrazioni che ricorrono su questi luoghi —, ma che esprimono invece il grido di dolore che attraverso queste pagine vogliamo raccogliere e rilanciare. D’altra parte la vita stessa di Daniele dimostra che la speranza fiorisce e resiste proprio dove può apparire perduta. Nato in uno di questi quartieri popolari, grazie ai sacrifici dei genitori — un impiegato e una casalinga —, Daniele ha potuto studiare e diventare avvocato. E ha deciso di mettere a disposizione la sua professionalità per aiutare gli altri. Ecco come racconta il Quarticciolo all’«Osservatore di Strada».

di Daniele Leppe

Il Quarticciolo è l’ultimo quartiere popolare edificato a Roma durante il fascismo, negli anni ’40. Ed è rimasto tale e quale a 80 anni fa. È l’esempio dell’abbandono pubblico, ma anche della capacità delle persone di reagire, costruendo una speranza concreta per i più poveri.

È una parte di Roma slegata in termini di relazioni territoriali, funzionali e sociali con il centro città, dove si manifesta la crisi dello spazio pubblico urbano, non più concepito come luogo di costruzione e rafforzamento dell’identità collettiva, ma come spazio residuale e frammentato.

Per alcuni versi, questa parte di Roma est somiglia di più a una terra di nessuno nella quale la qualità della vita è molto bassa, come testimoniato da tutti gli indicatori sociali, economici e culturali che mostrano come attività illegali, abbandono dell’edilizia pubblica residenziale, disoccupazione, povertà educativa ed economia sommersa siano elementi difficili da sradicare.

Al Quarticciolo collaboro con un’associazione, “Quarticciolo ribelle”, composta da ragazzi e ragazze che, finita l’università, hanno deciso di andare a vivere in quel quartiere, al quale si dedicano giorno e notte.

Il Quarticciolo è una nota piazza di spaccio di Roma. Come tutti i quartieri di edilizia popolare, la povertà economica e sociale e l’abbandono del patrimonio pubblico da parte delle istituzioni costituiscono l’humus ideale per la proliferazione della criminalità. Nel quartiere gli spacciatori smerciano la loro roba seduti su comode sedie agli angoli delle strade, in particolare vendono crack, che trasforma i ragazzi che ne fanno uso in zombie che girano come morti per le strade.

È un quartiere dove la polizia di Roma Capitale ha paura ad entrare e ha bisogno di un parcheggio privato per i propri poliziotti per evitare che le macchine siano vandalizzate, dove gli spacciatori minacciano gli operai delle ditte dell’Ater in occasione degli interventi per la manutenzione degli stabili, e tanto altro ancora.

La faccia dello Stato si manifesta con imponenti operazioni di polizia che vengono eseguite isolando il quartiere dall’esterno, controllando tutti quelli che entrano ed escono dal perimetro dell’abitato, come se gli abitanti del Quarticciolo dovessero giustificare il fatto di vivere in un quartiere difficile e, anzi, per il solo fatto di abitarci, siano responsabili dei fatti criminosi che ivi avvengono.

Ebbene, in un contesto del genere, i ragazzi di “Quarticciolo Ribelle”, gli attivisti del “Polo Civico del Quarticciolo”, padre Daniele e la parrocchia dell’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo rivendicano maggiore qualità urbana, diritti, opportunità educative e occupazionali e una concreta partecipazione sociale e politica che raramente si trovano in periferia.

Gli attivisti del quartiere si impegnano a reinventare la città in termini di relazioni, percorsi, occupazioni dello spazio, sopperendo alla mancanza di quei caratteri tradizionali della città, modificando e adattando i propri comportamenti quotidiani alla realtà urbana della “borgata”. Si tratta di fenomeni di mobilitazione spontanea da parte di gruppi di cittadini che sono riusciti, in parte, a riqualificare gli spazi del vivere e dell’abitare: una tendenza verso quelle forme di autogoverno dei gruppi urbani spinti dall’esigenza e dal desiderio di rappresentare e realizzare i propri diritti di cittadini e a soddisfare le proprie esigenze di abitanti.

In tal senso, i ragazzi di “Quarticciolo Ribelle” costruiscono giorno per giorno un’alternativa possibile, con il loro esempio e con le loro attività. Hanno realizzato una palestra popolare dove i bambini e le bambine sono seguiti, direi accuditi, e tenuti fuori da ambienti malsani. I familiari che non possono permetterselo non pagano rette. Questi ragazzi hanno organizzato il doposcuola per i bambini del quartiere, cercando di combattere la povertà educativa che è alla base delle differenze sociali che si tramandano per anni, una sorta di marchio di fabbrica che di fatto rinnega l’ascensore sociale di chi nasce e cresce nei quartieri popolari.

Non a caso, lo Stato, mentre a parole trasforma il disagio economico e sociale vissuto nel quartiere in una vicenda che necessita di risposte eccezionali — da qui l’applicazione del modello Caivano al Quarticciolo —, attua il “dimensionamento scolastico” all’unica scuola presente nel quartiere, riducendo la presenza dei presidi istituzionali e favorendo la desertificazione istituzionale nei territori problematici della nostra città, come accade anche al Consultorio che, ormai, apre solo 2 volte a settimana.

Ciononostante, questi ragazzi e queste ragazze non si sono fatti intimidire dalle difficoltà che incontrano nel loro impegno sociale. Anzi.

Ogni ostacolo serve per rilanciare il loro impegno per il miglioramento delle condizioni morali e materiali del quartiere dove vivono e lottano. Hanno creato, nel deserto, un ambulatorio sociale che interviene laddove lo Stato arretra. Cercano di creare opportunità lavorative, fornendo un’alternativa concreta, con un birrificio, una stamperia. Come dicono loro: dove tutto chiude, noi apriamo.

Supportano le famiglie nei colloqui con i servizi sociali e nei colloqui scolastici. Collaborano con l’università nell’immaginare una possibile alternativa. Offrono assistenza alle famiglie sotto sfratto. Cercano di ricostruire luoghi di aggregazione sociale laddove le trasformazioni economiche hanno fatto un deserto. Non a caso lavorano per “ridare vita a un mercato dove il Mercato ha fatto il deserto”, per riempire nuovamente le strade del quartiere, combattendo il degrado e l’abbandono con la socialità di chi non si rassegna ad essere un abitante di serie b.

Coprono buchi.

Danno ovviamente fastidio. Innanzitutto alla criminalità, che prospera laddove è maggiore il bisogno. Ma anche alle Istituzioni. Sono sentinelle attive che denunciano, senza sconti, le loro mancanze, le loro lacune. Raccontano di come i prezzi delle case, sempre più insostenibili, allontanino i poveri dalla loro città, trasformata in una Disneyland per ricchi e turisti.

In questo quadro le associazioni del quartiere, la parrocchia, gli attivisti sociali hanno creato il “Polo Civico del Quarticciolo”, e si sono dati come impegno quello di organizzare la speranza.

Collaboro con associazioni scomode con problematiche insostenibili. Perché la povertà e l’abbandono sono scomode. È più facile costruire una cancellata, un recinto, un ghetto, per occultare la realtà che dare risposte concrete ai bisogni dei poveri. Con tristezza infinita sono costretto a constatare che gran parte degli interventi pubblici delle Istituzioni per onorare il Giubileo, nato anche per la promozione della dignità di ogni persona e per il rispetto del creato, non siano stati investiti e utilizzati per dare dignità agli abitanti più sfortunati della nostra città, ma per rendere più comodi, belli e sicuri i quartieri bene della Città Santa che santa non può essere se non apre gli occhi sulle povertà diffuse che la popolano.