
di Matteo Frascadore
«Siamo poveri, ma insieme siamo ricchi. La nostra è una vittoria che ci unisce ancora di più, ci fa sentire famiglia». È emozionato Lucio mentre alza la coppa dei vincitori del torneo di calcio “Passi solidali” svoltosi nel quartiere San Lorenzo di Roma. Come i suoi compagni di squadra, anche Lucio è una persona senza dimora. Da alcuni mesi è ospite nella tensostruttura che, in occasione del Giubileo, Roma Capitale ha allestito, insieme ad altre tre, per offrire un riparo alle tante persone che vivono in strada.
L’idea di rendere persone senza dimora protagoniste di un evento sportivo e solidale — perché la povertà è anche mancanza di opportunità di integrazione e di recupero della propria autostima — è venuta proprio agli operatori della cooperativa sociale “Il Cigno”, che si sta occupando della tensostruttura approntata nei pressi della Stazione Termini e che ha già aiutato alcune persone nella ricerca di un lavoro e di un reinserimento nella società. Tra gli ospiti in molti, infatti, non perdono occasione per ringraziare Antonio De Angelis, il responsabile della tensostruttura, per tutto quello che fa con grande competenza e generosità.
L’evento sportivo, realizzato con il contributo del dipartimento di Psicologia dell’Università di Roma La Sapienza ed in particolare della professoressa Silvia Castaldi, ha avuto luogo nel cuore di San Lorenzo, nel complesso della chiesa di Santa Maria Immacolata e San Giovanni Berchmans. Sul campo della parrocchia gioca e si allena la Spes San Lorenzo, che ha già ingaggiato per il campionato che inizierà a settembre alcuni “campioni” della squadra della tensostruttura.
«Quel giorno ho sentito che ha vinto il cuore. Sì, il cuore di ognuno», continua Lucio, che non perde occasione per prendersi il merito di aver mandato la sua squadra ai calci di rigore grazie al pareggio (4 goal per parte) raggiunto in extremis con una sua doppietta nei trenta secondi finali.
Dopo i fatidici tre fischi dell’arbitro, i vincitori si sono lasciati andare a un lungo abbraccio, tra lacrime di gioia: «Per noi sentirci importanti non è cosa di tutti i giorni».
Partecipare al torneo è stato un piccolo, grande passo che per molti di loro ha assunto il significato di un vero e proprio riscatto.
A difendere la porta dagli attacchi degli avversari è stato Ako, autore di diversi salvataggi miracolosi e di due parate nei calci di rigore che hanno regalato la vittoria alla sua squadra. «Quando ho visto che mi correvano tutti incontro — racconta —, ho provato un’emozione fortissima. Per me ha avuto il significato di speranza, per ora e per il futuro».
Insieme con Lucio, in attacco, si è sentito, e forte, il peso dei gol di Kassim. L’unica differenza tra lui e gli altri è che nella tensostruttura non vi alloggia, ma presta servizio come operatore. «Ho voluto giocare e vincere con loro, mi sento uno loro», confida, ricordando il periodo in cui, alcuni anni fa, anche lui ha vissuto in strada. Una condizione da cui è riuscito a liberarsi dopo un percorso non facile, ma che lo ha portato a voler restituire il bene che ha ricevuto.
In posizione più arretrata si è mosso Djibril, tornato su un campo di calcio per una partita dopo 30 anni. «Ho rivissuto emozioni che pensavo di aver perso per sempre», dice mostrando la pelle d’oca. «Qui ci siamo riscoperti tutti come una grande famiglia. Mi sono sentito in un gruppo di fratelli, tutti accomunati da un simile destino. Ciò che ci unisce è l’idea di poter dare continuità a questa nuova situazione legata allo sport, con la possibilità di poter fare un campionato insieme». Djibril ha visto nel gioco di squadra e nell’altruismo quello che vorrebbe fosse il suo futuro: «Sono stato contento, mi sono sentito qualcuno. Ma per me è ancora meglio se a sentirsi importanti sono tutti coloro che mi stanno accanto».
Con lui a correre sulle fasce c’era Ousman, soprannominato da tutti “Ibra rasta”. «Sono felice. Ogni volta che vedo la coppa penso: “Siamo forti”. È proprio così, siamo forti. Squadra e campioni in quel torneo, ma amici nella vita. Un’occasione che apre le porte al futuro», dice l’uomo originario del Gambia e in cerca di un lavoro che possa portargli nuova luce nella vita.
Al torneo ha assistito l’assessore alle politiche sociali del comune di Roma Barbara Funari, che ha ricordato il «percorso che ha portato a questo torneo dove ci si incontra e si fa vivere lo sport nel quartiere». Molte delle persone ospitate nella tensostruttura prima dormivano in zona, in ripari di fortuna, fatti di cartoni o, nel migliore dei casi, di tende da campeggio. «Siamo soddisfatti — dice l’assessore —. Nonostante le polemiche che sono state sollevate all’annuncio dell’apertura della tensostruttura, abbiamo dimostrato che l’accoglienza è la prima soluzione. E lo stiamo raccontando con tanti progetti. Compreso questo evento: anche lo sport è un mezzo per reinserirsi nella società. Anche lo sport è un diritto».
La coppa è stata consegnata da un ospite speciale: Ubaldo Righetti, ex giocatore di Roma, Udinese e Lecce. «In tutta la mia carriera, non ho mai visto una partita così corretta», dichiara Righetti al termine della finale, confermando i valori dello sport e dell’amicizia che hanno caratterizzato la competizione.
Non solo una coppa: quel lungo abbraccio per molti ha avuto il significato di famiglia. Una motivazione in più per rialzarsi.