
Pellegrini di speranza, ponti fra Paesi nemici, profeti di pace. Lo sono i marittimi nelle parole del cardinale gesuita Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale. In occasione della Domenica del mare 2025, che si celebra il 13 luglio, il porporato ha diffuso un messaggio in cui sottolinea che «il mare lega tutte le terre, le invita a guardare l’orizzonte infinito, a sentire che l’unità può prevalere sempre sul conflitto».
Cari fratelli e sorelle,
una volta all’anno le comunità cattoliche di tutto il mondo ricordano la gente del mare nelle loro assemblee liturgiche domenicali. La seconda settimana di luglio, infatti, si apre con la Domenica del Mare, dedicata a una riflessione che porta nel cuore della Chiesa il lavoro, spesso invisibile, di migliaia di marittimi, persone che trascorrono molta parte della loro vita lontano dalle proprie famiglie e comunità, offrendo però un servizio immenso all’economia e allo sviluppo dei popoli. Come espresso in modo indimenticabile nella Costituzione Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, della quale quest’anno ricorre il 60° anniversario, «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (GS 1). Per questa ragione desideriamo che tutti coloro che lavorano in mare sappiano di essere nel cuore della Chiesa: essi non sono soli nelle loro istanze di giustizia, di dignità e di gioia. Uno sviluppo umano integrale, infatti, include tutti gli esseri umani e ogni loro dimensione fisica, spirituale e comunitaria. Là dove il Vangelo è proclamato e la presenza di Gesù risorto è accolta, il mondo non può rimanere così com’è. Dice infatti colui che ha vinto il peccato e la morte: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose!» (Ap 21, 5).
In questo anno giubilare, carissimi, la novità che i cristiani annunciano deve ancora più radicalmente interrogare l’ordine esistente, perché il Regno di Dio ci chiama a conversione: rompere le catene, rimettere i debiti, redistribuire le risorse, incontrarsi nella pace sono gesti umani coraggiosi, ma possibili. Essi riaccendono la speranza. Come abbiamo imparato dal principio, infatti, «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4, 20). Così, la Chiesa tutta è chiamata anche a interrogarsi su come oggi si lavora nei porti e sulle navi, con quali diritti, in quali condizioni di sicurezza, con quale assistenza materiale e spirituale. In una creazione ferita e in un mondo in cui conflitti e diseguaglianze aumentano, amare il Dio della vita impegna con la vita. La vita, infatti, è sempre concreta: vita di qualcuno, vita spesa dentro rapporti che, se non liberano, imprigionano, e se non fanno fiorire, umiliano. Accendiamo dunque l’attenzione su ciò che sta dietro le nostre economie, su chi le fa quotidianamente funzionare, spesso non beneficiandone affatto e anzi esponendosi alla discriminazione e al pericolo.
Vogliamo riconoscere i marittimi — come ci chiama tutti il motto del Giubileo 2025 — “pellegrini di speranza”. Che lo siano o meno consapevolmente, infatti, essi incarnano il desiderio di ogni essere umano, di qualunque popolo o fede religiosa, di vivere una vita degna, attraverso il lavoro, lo scambio, gli incontri. Essi non stanno fermi: hanno avuto la necessità e l’audacia di partire, come tanti uomini e donne di cui narra la Sacra Scrittura. Gente che viaggia, dentro il viaggio della vita. “Speranza” è la parola che deve sempre ricordarci la meta: noi non siamo vagabondi senza destino, ma figlie e figli la cui dignità nessuno e niente può mai cancellare. Siamo di conseguenza fratelli e sorelle. Veniamo dalla stessa casa e torniamo alla stessa casa: una Patria senza confini e senza dogane, dove non esistono privilegi che dividono e ingiustizie che feriscono. Siccome questa consapevolezza è salda, indistruttibile, noi possiamo sperare. Già oggi la solidarietà fra di noi e fra tutti gli esseri viventi può essere più forte e più viva. «La speranza cristiana, in effetti, non illude e non delude, perché fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino» (Spes non confundit, 3).
Ringrazio i marittimi cristiani e tutti i loro colleghi di altre appartenenze religiose e culturali: siete pellegrini di speranza ogni volta che lavorate con attenzione e amore, ogni volta che tenete vivi i legami con i vostri familiari e le vostre comunità, ogni volta che davanti alle ingiustizie sociali e ambientali vi organizzate per reagire e rispondere in modo coraggioso e costruttivo. Vi chiediamo di essere ponti anche fra Paesi nemici, profeti di pace. Il mare lega tutte le terre, le invita a guardare l’orizzonte infinito, a sentire che l’unità può prevalere sempre sul conflitto. Chiedo alle comunità ecclesiali, in particolare alle Diocesi con territorio marittimo, fluviale o lacustre, di sviluppare l’attenzione al Mare come ambiente fisico e spirituale che chiama a conversione.
Maria, Stella del Mare, orienti e illumini la nostra speranza.