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Hic sunt leones

L’Africa
paga il prezzo più alto
dei cambiamenti climatici

 L’Africa paga il prezzo più alto  dei cambiamenti climatici  QUO-147
27 giugno 2025

di Giulio Albanese

I cambiamenti climatici, intensificati negli ultimi anni in tutto il pianeta a causa del surriscaldamento globale (Global warming nell’usuale definizione in inglese), hanno conseguenze particolarmente devastanti nel vasto continente africano. Siccità, inondazioni, cicloni tropicali e ondate di calore sono decisamente aumentati in frequenza e intensità, compromettendo i mezzi di sussistenza, sconvolgendo gli ecosistemi e minacciando decenni di progressi nello sviluppo.

Secondo la World meteorological organization (Wmo), i Paesi africani stanno subendo perdite economiche pari al 2-5 per cento del loro Prodotto interno lordo (Pil) ogni anno e, in alcuni casi, sono costretti a destinare fino al 9 per cento dei loro bilanci alla gestione degli eventi climatici estremi.

Nell’Africa subsahariana, si stima che il costo dell’adattamento ai cambiamenti climatici ammonterà tra i 30 e i 50 miliardi di dollari all’anno nel prossimo decennio, pari al 2-3 per cento del Pil della macroregione. Le proiezioni più attendibili concordano di conseguenza nello stimare che, entro il 2030, fino a 118 milioni di persone in condizioni di povertà estrema (che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno) saranno esposte a siccità, inondazioni e caldo estremo in Africa, se non verranno messe in atto misure di risposta adeguate. Ciò comporterà ulteriori oneri per gli sforzi di riduzione della povertà e ostacolerà significativamente la crescita economica.

L’esposizione del continente a eventi meteorologici e climatici estremi è aggravata dall’elevata dipendenza dall’agricoltura pluviale — come noto la portata dei grandi fiumi africani subisce progressive riduzioni — oltre che dalla rapida crescita demografica, da infrastrutture con risorse insufficienti e da una limitata capacità di adattamento. Tra le principali tendenze climatiche registrate dal Wmo figurano prolungate siccità nel Corno d’Africa e nell’Africa australe, che hanno causato gravi perdite di raccolti e di bestiame ed evacuazioni di massa. L’aumento delle temperature sta aggravando inoltre la diffusione delle malattie legate al caldo, come la malaria e la dengue, il che per inciso compromette anche la produttività del lavoro in settori essenziali, quali appunto agricoltura e allevamento.

La siccità che ha colpito il Corno d’Africa dal 2020 al 2023 è stata una delle peggiori in assoluto e ha interessato oltre 36 milioni di persone. In altri aree geografiche del continente, la rapida urbanizzazione incontrollata, unita a sistemi di drenaggio inadeguati, ha portato a devastanti inondazioni che hanno penalizzato fortemente i centri urbani. Solo nel 2022, le inondazioni hanno causato lo sfollamento di oltre 1,5 milioni di persone nell’Africa occidentale e centrale. L’Africa meridionale ha assistito a un’attività ciclonica senza precedenti, con i cicloni Idai (2019), Eloise (2021) e Freddy (2023) che hanno messo letteralmente in ginocchio Paesi come il Madagascar, il Malawi, il Mozambico e lo Zimbabwe. L’ultimo, il ciclone Chido dello scorso dicembre, ha trovato sulla stampa internazionale più rilevanza del solito dato che ha colpito pesantemente anche il piccolo arcipelago di Mayotte, nel canale del Mozambico, che è un dipartimento d’oltremare francese, cioè territorio dell’Unione europea, causando morti e distruzioni, dopo aver fatto altrettanto nelle Comore, il vicino Stato insulare, e prima di abbattersi sul Mozambico.

Pur nella forte consapevolezza dei rischi climatici, il continente africano nel suo complesso si trova ad affrontare senza strumenti sufficientemente efficaci diverse sfide sistemiche e operative nel contrastare i cambiamenti climatici. Oltre il 60 per cento del territorio africano è sprovvisto di adeguati sistemi di osservazione meteorologica e climatica. Molti Servizi meteorologici e idrologici nazionali (Nmhs) non dispongono di sufficienti risorse finanziarie ed equipaggiamenti adeguati. L’accesso alle informazioni di allerta precoce è limitato e le comunità vulnerabili, in particolare nelle aree rurali e remote, spesso non dispongono di informazioni climatiche tempestive e accessibili, adattate al loro contesto locale. La situazione generale è aggravata inoltre dalla mancanza di coordinamento tra investimenti e sostegno alle attività legate al clima. Ciò ha portato a un’erogazione inefficace dei servizi climatici e a una loro scarsa integrazione nei quadri nazionali di sviluppo e gestione del rischio di catastrofi, limitando l’adattamento sostenibile.

Nonostante le difficoltà fin qui esposte, l’Africa si trova in una fase cruciale che in prospettiva potrebbe determinare un forte miglioramento nella gestione del rischio climatico. Una delle strategie trasformative più importanti che vale la pena segnalare è quella dell’Early warnings for all (Allerta precoce per tutti), che ha rivoluzionato il settore. Lanciata dalle Nazioni Unite nel 2022, l’iniziativa mira a garantire che ogni persona sulla Terra sia protetta da sistemi di allerta precoce entro il 2027. La maggior parte dei 30 Paesi destinatari prioritari dell’iniziativa si trova in Africa. Con il supporto del Wmo e dei partner associati, sono state sviluppate roadmap nazionali per rafforzare le infrastrutture di allerta precoce, sviluppare le capacità operative e migliorare la preparazione delle comunità locali.

L’iniziativa sta offrendo agli Nmhs africani l’opportunità di dotarsi di servizi meteorologici e climatici incentrati sulle persone e basati sull’impatto, in co-produzione con diversi settori socioeconomici e stakeholder (tutti coloro che hanno un interesse, diretto o indiretto, in un’organizzazione o progetto, e che possono essere influenzati o influenzare le sue attività e decisioni). Questi servizi stanno colmando il divario tra dati scientifici e informazioni fruibili per gli utenti finali. L’iniziativa ha lo scopo di potenziare il ruolo degli Nmhs come voce autorevole per le previsioni nazionali, per gli avvisi agricoli climatici, per le allerte relative a inondazioni localizzate tramite piattaforme mobili e come fornitore di programmi educativi comunitari che integrano le conoscenze delle popolazioni autoctone.

Qualcosa si sta dunque muovendo anche in questo settore. Il rafforzamento dei sistemi di allerta precoce, che per essere davvero efficaci non possono prescindere dalla diffusione di servizi meteorologici digitali, dall’integrazione regionale delle reti climatiche e idrologiche e soprattutto dall’investimento in infrastrutture resilienti, è una priorità strategica che inizia a trovare un felice riscontro in alcuni Paesi anche se il cammino è ancora lungo e tutto in salita. In Rwanda, Kenya e Nigeria, sono già stati avviati programmi pilota per fornire previsioni meteo via sms alle popolazioni rurali, dotandole addirittura di strumenti digitali di pianificazione agricola.

Una cosa è certa: la sfida climatica africana non può essere sostenuta solo dai Paesi membri dell’Unione africana (Ua).

«Il cambiamento climatico è una questione di giustizia», ricorda il segretario generale dell’Organizzazione metereologica, Petteri Taalas, precisando che «l’Africa è tra le regioni meno responsabili del riscaldamento globale, ma è tra le più colpite. È essenziale che la comunità internazionale aumenti la cooperazione e i finanziamenti per l’adattamento». Infatti, nonostante contribuisca a meno del 4 per cento delle emissioni globali di gas serra, l’Africa è il continente che subisce più di tutti gli effetti del cambiamento climatico prodotto dai grandi player internazionali. Sostenere l’Africa è dunque una questione di giustizia. Per questo, è essenziale che la comunità internazionale aumenti il sostegno finanziario e tecnico per l’adattamento. Sostenere l’Africa non è solo necessario: è una questione di giustizia ed equità.