· Città del Vaticano ·

Nuovi scontri a Nairobi a un anno dalle manifestazioni represse con forza dalla polizia: 16 morti e 400 feriti

In Kenya riesplode
la protesta di piazza

EDITORS NOTE: Graphic content / TOPSHOT - A protester ducks a teargas canister in downtown Nairobi ...
27 giugno 2025

di Giada Aquilino

Edifici bruciati, vetrine rotte e migliaia di negozi saccheggiati. È di almeno 16 morti e 400 feriti, secondo varie organizzazioni per i diritti umani, il bilancio degli scontri in Kenya tra dimostranti e polizia durante le manifestazioni di mercoledì a Nairobi, ad un anno dalle imponenti proteste violentemente represse dalle forze dell’ordine, quando in base ai dati delle stesse ong più di 60 persone furono uccise e decine di altre risultano a tutt’oggi disperse. Il 25 giugno 2024 migliaia di manifestanti assaltarono il Parlamento, chiedendo il ritiro della legge finanziaria in discussione e le dimissioni di William Ruto: furono le più imponenti dall’inizio della sua presidenza nel 2022. «Un anno fa i giovani scesero in piazza per protestare contro una serie di proposte di riforma fiscale che andavano a stabilire nuovi prelievi di tasse», ricorda Giovanni Carbone, docente all’università di Milano e responsabile del programma Africa dell’Ispi. «Erano proteste che esprimevano un malessere sociale a fronte di un governo che voleva pescare qualcosa in più nelle tasche dei cittadini», spiega l’analista, facendo notare come «quegli stessi giovani erano stati anche in buona misura i sostenitori del presidente Ruto alle elezioni». Va comunque detto, aggiunge, che il Kenya — una delle economie più forti dell’Africa orientale — «ha bisogno, come la gran parte degli Stati africani, di far crescere anche la propria capacità dal punto di vista del funzionamento statuale, che parte da risorse finanziarie estratte purtroppo dalla cittadinanza».

Mercoledì, migliaia di manifestanti sono scesi nuovamente in strada, anche a Mombasa e in altre zone del Paese, scandendo slogan contro Ruto e una sua possibile ricandidatura nel 2027. Sebbene le manifestazioni siano iniziate in modo pacifico, alcuni manifestanti hanno poi lanciato pietre contro le forze dell’ordine, che hanno risposto con gas lacrimogeni e granate assordanti. I media locali hanno riferito di spari con proiettili veri da parte degli agenti. Il governo ha invece dichiarato di aver «sventato un colpo di Stato», parlando di «terrorismo mascherato da protesta». Di contro, Amnesty International e una ventina di ong hanno denunciato un «uso eccessivo della forza» da parte della polizia. L’Onu ha chiesto l’apertura di indagini «indipendenti e trasparenti».

I manifestanti sono scesi di nuovo in strada «fondamentalmente per tre ragioni», osserva Carbone: «Benché la riforma fiscale sia stata ritirata un anno fa, ci sono state delle misure che hanno in qualche modo reintrodotto delle forme di prelievo, soprattutto attraverso una tassazione indiretta. Inoltre, si è trattato di una sorta di anniversario, un’occasione per tanti giovani di ritrovarsi a manifestare ed esprimersi contro il governo. E lo stesso governo è accusato di cattiva amministrazione, di corruzione, che poi è un problema di lunghissima data in Kenya». Riguardo alle accuse di uso eccessivo della forza, il responsabile del programma Africa dell'Ispi fa notare che «era stata particolarmente violenta la repressione di un anno fa, c’è stata forse un po’ più di moderazione quest’anno ma è stata comunque una gestione molto discutibile da parte delle forze di sicurezza». La tensione nel Paese era peraltro già alta dai primi di giugno per la morte, mentre si trovava sotto custodia della polizia, di un noto blogger, Albert Ojwang, arrestato a seguito di una denuncia per diffamazione da parte del vicecapo della polizia, Eliud Lagat: sul web, Ojwang l’aveva più volte criticato pubblicamente, collegandolo ad un grosso scandalo di corruzione. In quell’occasione, come pure nel 2024, molti attivisti e dimostranti avevano denunciato la presenza nelle strade di «gruppi di teppisti armati»: la polizia aveva assicurato che sarebbero stati «trattati con fermezza», mentre i difensori dei diritti umani avevano accusato le autorità di ricorrere ad elementi violenti per screditare e soffocare le loro azioni.

In vista delle presidenziali fra due anni, è però ancora troppo presto e «difficile» valutare come possa evolversi la situazione, riflette Carbone, «perché comunque le manifestazioni sono prevalentemente urbane, c’è una parte della popolazione che non abita nelle aree dove ci sono state le proteste e che dal punto di vista dell’orientamento elettorale non necessariamente segue quello che i manifestanti propongono come dissenso nei confronti del governo».