· Città del Vaticano ·

Don Domenico parroco di 450 anime nell’Aquilano

«Come san Giuseppe»
in una grande famiglia

 «Come san Giuseppe» in una grande famiglia  QUO-147
27 giugno 2025

di Igor Traboni

«Quello della santificazione sacerdotale per me è un giorno davvero speciale e lo vivo assieme a tutta la mia comunità. Il giorno del Sacro Cuore, il 27 giugno, facciamo l’ora di adorazione, poi la messa e quindi un rinfresco per tutto il paese. Qui abbiamo un’associazione di devoti al Sacro Cuore di Gesù, la cui storia si lega a quella di Filomena Carnevale, una donna del posto, mistica stigmatizzata, che offrì le sue sofferenze per i preti e i seminaristi. Ma c’è un altro particolare che mi ha sempre colpito: qui in paese è finito, chissà come e chissà perché, un quadro del Sacro Cuore che si trovava nel seminario minore di Sora, poi chiuso. Ecco, ce lo avevo davanti quando studiavo e me lo sono ritrovato da sacerdote». Chi parla è don Domenico Buffone, 62 anni, parroco di San Vincenzo Valle Roveto, paese abruzzese in provincia di L’Aquila ma compreso nella diocesi laziale di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, assieme ad altri sei comuni di questa valle di rara bellezza: natura incontaminata, montagne che superano i duemila metri e che poi scendono verso il verde letto del fiume Liri, che gioca a fare zig-zag scorrendo accanto alla lingua d’asfalto della superstrada Sora-Avezzano e della vecchia linea ferroviaria a binario unico per Roccasecca.

Don Domenico da quattordici anni è parroco di questa comunità di neppure 500 abitanti, relativamente nuova: San Vincenzo si trovava più in alto ma venne ricostruito a valle dopo il terremoto che nel 1915 devastò la Marsica. Posti di montagna che si vanno spopolando, eppure — non sembri un controsenso — quanto mai vivi e vitali: «Questa parrocchia è una grande famiglia: conosco tutti e tutti mi conoscono, mi vogliono bene, mi coccolano. Se a esempio la mattina alle 8 vedono le finestre della canonica ancora chiuse, subito si allarmano. L’età media è sui 75 anni. La parrocchiana più anziana è la signora Adele: ha 102 anni ma prepara ancora le fettuccine e i ravioli a mano per portarli al parroco. Poi ci sono tre bambini che hanno fatto la prima comunione quest’anno ma il prossimo catechismo lo farò tra cinque anni perché dopo di loro c’è solo una bambina che oggi ha dodici mesi. È vero, sono paesi che si vanno spopolando, ma la pastorale è edificante e come prete — afferma Buffone — non mi sento affatto sminuito, anzi: l’ultimo mese, per esempio, lo abbiamo scandito con dei momenti di formazione e di quella preghiera che si trasforma in opere. Come parrocchia non abbiamo grosse difficoltà e allora aiutiamo altre realtà diocesane bisognose, e portiamo avanti un’esperienza missionaria in Camerun dove sosteniamo una scuola e pozzi per l’acqua potabile nei villaggi, almeno uno all’anno. Questa cosa ci fa star bene, ci dà il senso di essere Chiesa viva, anche se piccola».

Proviamo a insistere: ma, in una parrocchia di 450 anime, non c’è il rischio di “santificarsi” poco? «No», risponde don Domenico, «qui c’è comunque da fare. E se proprio “il lavoro” non ce l’ho, allora me lo trovo. E poi continuo a studiare: ho appena finito un master in accompagnamento spirituale all’Università pontificia salesiana, a Roma. E scrivo: sto preparando un testo su santa Chiara, un commento su tutti i suoi scritti, e di recente è uscito per le Edizioni Cantagalli un mio libro su san Giuseppe, raccontato secondo la tenerezza di un uomo, di un marito, di un papà: un uomo normale che si trova a custodire grandi personaggi. Una figura che mi richiama continuamente proprio al mio essere sacerdote, con la sua umanità che traspare in quella che può essere una carezza, un abbraccio, una benedizione, soffrire con chi è nella sofferenza, gioire con chi è nella gioia. Una figura che mi ha insegnato tanto e custodisco gelosamente. Penso inoltre che per noi preti la castità di Giuseppe sia il massimo».

San Giuseppe ha una sua cappelletta nella chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria, dove parroco e fedeli non vedono l’ora di rientrare. Già, perché di fatto la chiesa è chiusa dal terremoto nell’Aquilano di sedici anni fa; da allora i fedeli di San Vincenzo Valle Roveto si ritrovano per la messa e le varie attività in uno scantinato freddo d’inverno e caldo in estate. «Questa forse è la sofferenza più grossa che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo ancora», riprende Buffone, «ma senza cedere al pessimismo, perché proprio in questi mesi come comunità abbiamo assistito a qualcosa di bello: quando avevamo perso un po’ la speranza, ecco che tutto “miracolosamente” si è sbloccato, a livello burocratico e di ripresa dei lavori, e così riavremo la nostra chiesa nel 2026».

La comunità due settimane fa ha vissuto un altro momento di gioia e speranza che don Domenico racconta così, ancora visibilmente commosso: «Eravamo in piazza San Pietro per il pellegrinaggio giubilare diocesano quando Papa Leone XIV si è fermato accanto a noi e ha voluto prendere in braccio e benedire Virginia, l’unica bimba della parrocchia. Io ero lì accanto e non smettevo di ringraziare il Signore per questo dono».