· Città del Vaticano ·

A 10 anni dall’«Accordo Globale» tra Santa Sede e Stato di Palestina

Un passaggio storico

 Un passaggio storico  QUO-146
26 giugno 2025

di Roberto Cetera

Dieci anni fa, oggi, veniva firmato lo storico “Accordo Globale” tra Santa Sede e Stato di Palestina, che implicava il riconoscimento dello “Stato” di Palestina da parte dell’istituzione vaticana. A sottoscriverlo, il 26 giugno 2015, il segretario della Santa Sede per i rapporti con gli stati, arcivescovo Paul Richard Gallagher, e l’ex ministro degli esteri palestinese Riad al Malki. La Santa Sede fu tra i primi in Europa a riconoscere il carattere di “stato” a quella che, in conseguenza degli accordi di Oslo del 1993 era stata definita Autorità Nazionale Palestinese, guidata dal presidente Mahmud Abbas.

L’accordo è costituito da un preambolo e da 8 capitoli che racchiudono 32 articoli, e definisce innanzitutto gli aspetti essenziali della vita e dell’attività dei cristiani in Palestina, con particolare riferimento alla libertà di religione e di coscienza che lo stato palestinese si impegna a tutelare. Oltre alla previsione di garanzie per l’esercizio del culto nei luoghi santi della cristianità, il testo riconosce anche l’esercizio di attività sociali, assistenziali ed educative da parte della chiesa cattolica locale, e un regime fiscale agevolato per i beni ecclesiastici.

Ma sicuramente l’aspetto più significativo — accanto al riconoscimento formale dello Stato di Palestina — è la riaffermazione del sostegno da parte della Santa Sede ad una soluzione negoziata del conflitto israelo-palestinese, che abbia come esito finale la coesistenza pacifica di “due Stati”, Israele e Palestina, l’uno accanto all’altro con pari dignità. L’accordo è stato il frutto di un’intensa e laboriosa attività diplomatica durata anni che da parte della Santa Sede fu condotta, oltre che da monsignor Paul Richard Gallagher, dall’allora sottosegretario monsignor Antoine Camilleri e dall’allora Nunzio, arcivescovo Antonio Franco.

La base di partenza fu costituita dall’“Accordo fondamentale” che la Santa Sede aveva stipulato 15 anni prima (il 15 febbraio 2015 durante il pontificato di Giovanni Paolo II), con un diverso soggetto politico palestinese, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), che già prevedeva il diritto di libertà religiosa e la pari dignità tra le tre religioni monoteiste presenti a Gerusalemme. L’accordo globale di 10 anni fa segue peraltro di un solo anno lo storico incontro tra Papa Francesco, il presidente palestinese Mahmud Abbas e quello israeliano Shimon Peres, che insieme piantarono un ulivo, simbolo di pace, nei giardini vaticani.

La persistente valenza dell’accordo è sottolineata dal delegato apostolico a Gerusalemme, arcivescovo Adolfo Tito Yllana, il quale a «L’Osservatore Romano» dichiara che «l’accordo del 2015 riafferma la volontà della Santa Sede a lavorare con chiunque, per trovare risposte concrete e giuste alle sofferenze dell’umanità. Insieme dobbiamo lavorare perché due popoli, quello israeliano e quello palestinese, possano vivere in pace e tranquillità, con due stati indipendenti e prosperi, nella terra in cui la Provvidenza li ha fatti incontrare». Concetti similari a quelli espressi nell’occasione dall’ambasciatore palestinese presso la Santa Sede Issa Kassissieh: «Il fatto che l’accordo contempli il riconoscimento formale dello Stato di Palestina, insieme all’affermazione che non c’è altra soluzione al conflitto che quella dei “due stati”, attribuisce alla Santa Sede un ruolo di leadership e di profezia nella ricerca della pace».

La bontà dell’accordo è anche nelle parole della nuova ministra degli esteri palestinese (nominata solo l’altro ieri) Varsen Aghabekian, che a «L’Osservatore Romano» dichiara: «Nell’accordo del 2015 è prefigurato quello che noi auspichiamo possa essere il futuro di Gerusalemme e della Terra Santa, che passa innanzitutto attraverso la permanenza dei cristiani nella loro terra, e attraverso la tutela dello status quo dei santuari e sacri siti. Quell’accordo è stato un passaggio storico per la Chiesa e per il popolo palestinese, sono certa che il perseguimento della pace e della giustizia sarà il motivo ispiratore anche di Papa Leone. Ci auguriamo che le grida del nostro popolo siano ascoltate in tutto il mondo, che le sofferenze cessino, e che le campane delle chiese cristiane tornino a suonare con gioia».