· Città del Vaticano ·

Oltre la deterrenza

«Se vuoi la pace, prepara
la pace»

 «Se vuoi la pace, prepara la pace»  QUO-146
26 giugno 2025

di Fabio Colagrande

«L’antica sentenza, che ha fatto e fa scuola nella politica: si vis pacem, para bellum non è ammissibile senza radicali riserve. Noi con la schietta audacia dei nostri principii, denunciamo così il falso e pericoloso programma della “corsa agli armamenti”, della gara segreta alla superiorità bellica fra i popoli». Nel dicembre 1976, in piena Guerra Fredda tra Stati Uniti e Russia, caratterizzata da tensioni crescenti e la corsa al riarmo, Papa Paolo VI scriveva queste parole nel suo Messaggio per la X Giornata Mondiale per la Pace. «Anche se, per una superstite felice saggezza, o se per un tacito, ma già tremendo “braccio di ferro” nell’equilibrio delle avverse forze micidiali, la guerra (e quale guerra sarebbe!) non scoppia — scriveva ancora Papa Montini in quel testo — come non compiangere l’incalcolabile dispendio di mezzi economici e di umane energie per conservare ad ogni singolo Stato la sua corazza di armi sempre più costose, sempre più efficienti, a danno dei bilanci scolastici, culturali, agricoli, sanitari, civili».

Quella ribadita qui con toni appassionati da Paolo VI è la condanna esplicita della cosiddetta “teoria della deterrenza” già espressa dal suo immediato predecessore, Giovanni XXIII, nella celeberrima Pacem in terris, pubblicata nel 1963, all’indomani della crisi missilistica di Cuba che aveva portato il mondo a un passo dalla guerra atomica. «Gli armamenti, come è noto, si sogliono giustificare adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze», scriveva Papa Roncalli nella sua ultima enciclica. «In conseguenza gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile». «Giustizia, saggezza ed umanità — proseguiva più avanti — domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti».

A riattualizzare questo principio, centrale nel magistero sulla pace dei Papi del secondo Novecento, è stata l’enciclica Fratelli tutti. «La questione è che, a partire dallo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie, si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile, che colpisce molti civili innocenti», spiegava Papa Francesco nel suo testo firmato significativamente ad Assisi, il 3 ottobre 2020. E più avanti, spiegava: «La pace e la stabilità internazionali non possono essere fondate su un falso senso di sicurezza, sulla minaccia di una distruzione reciproca o di totale annientamento, sul semplice mantenimento di un equilibrio di potere».

Sono tutte affermazioni, tratte dagli insegnamenti dei Pontefici, che acquistano un significato particolare nei giorni in cui la pace mondiale sembra come non mai in bilico, per il nuovo drammatico conflitto che coinvolge Israele, Usa e Iran, e il Consiglio europeo si riunisce a Bruxelles per discutere del cosiddetto piano «ReArm Europe». Ma è interessante notare come l’obsolescenza del motto latino Si vis pacem, para bellum (“Se vuoi la pace, prepara la guerra”) — riformulazione di una pericope tratta dall’Epitoma rei militaris di Vegezio (IV-V secolo) — sia stata ampiamente sottolineata in questo secolo anche in contesti lontani dalla Dottrina sociale della Chiesa.

Già il 12 giugno 1909, Filippo Turati, uno dei padri del socialismo italiano, nel discorso «La vertigine degli armamenti e le riforme sociali», tenuto alla Camera dei deputati, affermava: «Il famoso si vis pacem, para bellum non è che un giuoco di parole da oracolo di Delfo. Torniamo, signori, al senso comune, che dice: si vis pacem, para pacem. Poniamo fine a questa vana follia della gara degli armamenti che estenua le nazioni». Nel 1947 poi, dopo la tragedia di Hiroshima e Nagasaki, il Mahatma Gandhi scriveva: «La morale che si può trarre (…) è che una bomba non può essere distrutta da un’altra bomba, come la violenza non può essere distrutta dalla violenza». Mentre in Italia, il filosofo e politico antifascista Aldo Capitini, — ispirato dallo stesso leader indiano — ribadirà che «il fine dell’amore non può realizzarsi che attraverso l’amore, il fine dell’onestà con mezzi onesti, il fine della pace non attraverso la vecchia legge di effetto tanto instabile se vuoi la pace prepara la guerra, ma attraverso un’altra legge: durante la pace, prepara la pace».

Secondo l’Istituto svedese Sipri le spese militari mondiali hanno raggiunto nel 2024 il loro massimo storico (oltre 2.700 miliardi), mentre oggi nel mondo sono attivi 56 conflitti armati che coinvolgono più di 92 paesi, il numero più alto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Una conferma che «prepararsi alle guerra», non solo distoglie risorse economiche dai bilanci degli Stati, ma non porta alla pace. Di fronte allo strazio provocato, tra gli altri, dai conflitti di Ucraina e Medio Oriente, restano bussola chiara e ferma, in continuità con il magisterium pacis dei suoi predecessori, le recenti parole di Papa Leone XIV: «Non dobbiamo abituarci alla guerra, anzi, bisogna respingere come una tentazione il fascino degli armamenti potenti e sofisticati».