· Città del Vaticano ·

Proposta della Fondazione “Fratelli tutti” e dell’associazionismo cristiano

La sfida di un ministero
della pace

 La sfida di un ministero della pace   QUO-145
25 giugno 2025

di Stefano Leszczynski

«Chiedere un ministero della pace significa chiedere un modo diverso di vivere, capace di intendere la giustizia come riparativa e non vendicativa, capace di mediare i conflitti, di dialogare, di porre un sogno all'interno delle società e non la paura e la vendetta, che animano oggi gli interessi politici dei grandi e dei potenti. La gente povera e la gente buona, la gente semplice, non vuole la guerra e noi siamo qui ad affermarlo». Padre Francesco Occhetta, segretario generale della Fondazione vaticana “Fratelli tutti”, parlando con i media vaticani dà una definizione molto concreta e non soggetta ad interpretazioni di quella che è l’idea all’origine della proposta di istituire un dicastero per la pace in Italia in un momento in cui nuove guerre sanguinose, disuguaglianze globali e l’aumento delle spese militari oscurano l'orizzonte.

Si tratta di una sfida radicale ma necessaria, rilanciata ieri a Roma da almeno trenta realtà dell'associazionismo cristiano e del pacifismo, riunite in rete per sensibilizzare l’opinione pubblica e mettere di fronte alle proprie responsabilità il mondo della politica sul tema della pace come scelta concreta, strutturale, istituzionale. A presentare il progetto di un ministero della pace sono state voci autorevoli del mondo accademico, religioso e del terzo settore in un evento svoltosi presso la Domus Mariae. L’obiettivo è chiaro: approfondire le ragioni e le possibilità di un’azione condivisa per una politica della pace. Non si tratta solo di un appello generico alla buona volontà, si parla di ripensare l'architettura stessa della pace, passando dal pacifismo retorico a un impegno concreto, capace di generare dialogo costruttivo e strutture durature di cooperazione e disarmo. In apertura dei lavori padre Francesco Occhetta, ha ribadito come la vera pace si costruisca attraverso il disarmo: «Non è sufficiente ridurre le armi, dobbiamo disarmare gli spiriti, il linguaggio, la cultura della paura».

Nel corso dell'evento hanno fatto il loro intervento anche i tre presidenti delle Associazioni organizzatrici del progetto: Matteo Fadda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII; Giuseppe Notarstefano, presidente di Azione Cattolica ed Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli, che hanno richiamato alla necessità di agire per la pace prima che «la guerra diventi una voragine irreparabile» e alla necessità di «assumere il principio secondo cui è la guerra che interrompe la pace e non il contrario».

«La sfida che abbiamo di fronte — ha spiegato Notarstefano — è quello di ricompattare le differenze anche nello stesso fronte ecclesiale per poter dialogare uniti di fronte alle politiche pubbliche su temi come quello del riarmo a livello europeo, il significato di difesa europea. Papa Leone auspica per il mondo ecclesiale una testimonianza di unità nel mondo, che significa provare a guardare tutti nella stessa direzione, quella di costruire istituzioni di pace e questo è il compito delle associazioni che devono provare a lavorare insieme, anche confrontandosi».

L’istituzione di un ministero della pace prevede un cambio di paradigma. È la proposta di un nuovo umanesimo istituzionale, che metta al centro la dignità umana, la responsabilità politica, la forza della nonviolenza.

Ed è proprio in questo senso che acquista una particolare rilevanza la capacità di costruire una cultura della pace che radichi e fiorisca soprattutto nelle nuove generazioni. «I giovani — sono state le parole di Michele Nicoletti, docente di filosofia della politica all’Università di Trento — sono già esistenzialmente coinvolti, avvertono tutta la drammaticità della situazione, sia sul fronte della guerra che sul fronte delle altre sfide, come quelle climatiche. Vanno supportati nel lavoro di coordinamento con la promozione di momenti di fraternità e di unità a livello internazionale per favorire scambi concreti tra giovani di Paesi diversi. Accanto a questo, vanno costruite delle condizioni di vita e di lavoro che siano veramente dignitose e giuste».