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L’analista Anna Majar Barducci: «Non sembra ci sia una leadership alternativa ben accetta a tutti»

Il ruolo dell’opposizione interna a Teheran

 Il ruolo dell’opposizione interna a Teheran   QUO-145
25 giugno 2025

di Roberto Cetera

Può sembrare paradossale ma l’attacco militare israeliano contro l’Iran, che si prefiggesse o meno anche il regime change, sta fiaccando le opposizioni interne.

La violenza dei bombardamenti che hanno colpito anche gli insediamenti civili sta infatti rinfocolando un sentimento anti israeliano — ovviamente sospinto pure dalla propaganda iraniana — che ha sollecitato imponenti manifestazioni di piazza. Solo un superficiale sguardo occidentale può infatti ritenere che all’opposizione iraniana, per quanto in rivolta contro il regime teocratico, possa comunque risultare accettabile il sionismo di Benjamin Netanyahu. La gente inoltre ha avuto paura, chi può è scappato verso le frontiere più vicine e si è affermata l’idea che non sarebbero stati i pesanti bombardamenti dei giorni passati a favorire un cambio di regime.

Ma questa non è la reazione di tutte le forze di opposizione agli ayatollah. Occorre infatti tenere sempre ben presente che i persiani rappresentano soltanto il 50% della popolazione iraniana. Il peso delle minoranze etniche del Paese (Ahwazi, Kurdi, Balochi ecc) è decisivo nell’economia del discorso sul cambio di regime, perché a differenza dell’opposizione persiana le minoranze etniche esprimono anche gruppi di resistenza armata. Ad esempio tra i Kurdi operano diversi gruppi come: il Free life party of Kurdistan (Pjak), o il Partito democratico del Kurdistan iraniano (Kdpi), il Komala party del Kurdistan iraniano, e il Kurdistan freedom party (Pka); tutti gruppi armati che hanno una storia che va indietro di decenni.

Anna Majar Barducci, studiosa e analista del think tank israelo-americano Memri, che da anni segue i movimenti di opposizione in Iran, spiega: «Ben armato è anche il gruppo militare segreto dei Balochi: il Balocistan liberation army (Bla)». La resistenza degli Ahwazi poi va indietro di circa 100 anni, quando questa popolazione di etnia araba che vive nel sud ovest dell’Iran venne assoggettata dai persiani del regime monarchico dei Pahlavi, che avviarono una “persianizzazione” dei loro territori, resa negli anni ancor più violenta a causa delle continue rivolte ed attentati delle forze di resistenza Ahwazi. «Recentemente si è tenuto un incontro tra il presidente del comitato esecutivo dello stato di Ahwaz, Aref Al Kaabi, e il leader del Komala party of Kurdistan, Reza Kaabi, nel quale si sono esplorate le possibilità di coordinamento tra la resistenza Kurda e quella Ahwazi nella lotta contro l’oppressione delle minoranze esercitata dal regime di Teheran», racconta ancora la ricercatrice. Un’alleanza che costringerebbe l’Iran a fronteggiare le resistenze armate sia a nord che a sud. È abbastanza evidente che per l’ipotesi di un regime change in Iran occorra comunque guardare più a queste realtà interne che non alle varie opposizioni della diaspora in Europa o negli Usa, che spesso appare divisa da personalismi ed ambizioni, e soprattutto è abbastanza scollegata dalle opposizioni interne. «In effetti non appare che oggi vi sia una leadership alternativa agli ayatollah che risulti credibile e ben accetta a tutti», spiega ancora Anna Majar.

I gruppi armati delle opposizioni etniche poi non hanno voluto sfruttare l’occasione del conflitto di questi giorni tra Israele ed Iran per indebolire ulteriormente il regime di Teheran. E non solo perché risulterebbe inaccettabile una concordanza d’intenti tra loro e il governo di Netanyahu. Ma soprattutto perché prevale il timore che un possibile collasso del regime possa aprire la strada ad una soluzione — sospinta dagli occidentali — di un governo, sì laico, ma parimenti centralista e repressivo delle istanze autonomiste. L’ultimo degli obiettivi di Kurdi, Balochi e Ahwazi è di essere “cavallo di Troia” di cambiamenti fors’anche peggiorativi del loro status. La memoria delle dure repressioni operate dallo scià è ancora viva. Sicuramente il figlio del deposto scià, Reza Pahlavi, gode di migliore fama in America dove vive da 46 anni, che non in Iran.