
Riceviamo dal Vicario della Custodia di Terra Santa questa riflessione scritta ieri, 19 giugno, settimo giorno di guerra.
di Ibrahim Faltas
Sette giorni fa, la paura è tornata ad impadronirsi della Terra Santa, da otto giorni la paura è diventata terrore per i venti di guerra che soffiano in spazi sempre più ampi e più diffusi in Medio Oriente.
Nella notte che precede la festa di sant’Antonio da Padova, patrono della Custodia di Terra Santa, è iniziata una nuova guerra. Doveva essere un giorno sereno in cui ringraziare il Signore per il dono della fede e dell’unità, invece la festa si è trasformata in paura, isolamento, chiusura.
Da sette notti e sette giorni missili arrivano e partono a portare ancora terrore, morte e distruzione in Terra Santa. Il cielo limpido e stellato si illumina di notte, il cielo azzurro e terso risuona di sibili mortali di giorno.
Le città sono isolate, i luoghi santi chiusi, le persone invitate a non uscire e a cercare rifugi sicuri, le difficoltà sono tante e diverse: non è facile rifornirsi di cibo, non si possono affrontare emergenze sanitarie e traumi psicologici, si fanno sempre più spazio la sfiducia e la mancanza di speranza nel futuro.
Attraverso strumenti di morte, la violenza compie viaggi di vendetta in andata e ritorno per dare compimento all’odio e alla fame di potere. Nella settima notte di questa guerra, gli obiettivi colpiti sono, come capita spesso, luoghi di aggregazione e di servizio ai deboli e agli indifesi. I locali parrocchiali e il convento adiacenti alla nostra chiesa di Sant’Antonio a Jaffa hanno subito gravi danni a causa di un missile caduto nelle vicinanze. Anche le case e le attività dei parrocchiani di questa comunità hanno subito danni e si vive nella paura di nuovi attacchi. Fra i sette luoghi strategici presi di mira e centrati dai missili iraniani, l’ospedale Soroka, a Beer Sheva, è quello che ha subito danni notevoli alle strutture. Sono rimasti feriti molti pazienti ricoverati e bisognosi di cure, feriti anche molti medici e infermieri, personale sanitario che aiuta e salva altre vite. Si rivedono le scene e il dolore degli ospedali di Gaza, stessi luoghi di cura, stessa sofferenza, stesse necessità. L’ospedale Soroka è un centro di eccellenza in Israele che per ora non sarà accessibile alle urgenze e agli ammalati. Nelle stesse ore, passa più in silenzio la notizia che a Gaza nell’ospedale di Khan Younis la mancanza di energia elettrica negli ospedali toglierà la possibilità di vita ai neonati nati prematuri. È il direttore a denunciarlo e aggiunge che in 48 ore ai neonati ricoverati nel suo ospedale mancherà il latte e si prospetta la loro morte per denutrizione. Il diritto alla vita è lo stesso, identico a meno di cento chilometri e non può passare in secondo piano ed essere facilmente dimenticata la sofferenza di Gaza.
Il bilancio di questi attacchi colpisce perché chi muore e chi soffre sono soprattutto civili, sono persone che non hanno colpa, sono persone che hanno diritto alla vita e ad una esistenza dignitosa, persone che offrono il loro servizio e la loro dedizione agli altri.
Sette notti trascorse nella paura, sette luoghi colpiti la settima notte, sette fronti di guerra in Terra Santa. Il numero sette nella Bibbia e in altri libri sacri ricorda eventi e situazioni positive che fanno riferimento alla perfezione della presenza divina, ma non è lo stesso riferimento in questi giorni in cui lo stesso numero sette ci riporta alle conseguenze negative e devastanti delle guerre.
Vorrei invece che questo numero ricorrente faccia riferimento al perdono che Gesù indica essere ripetutamente e infinitamente offerto in contrapposizione al male. Il percorso della pace deve partire dalla nuova vita delle coscienze e dei cuori, e l’inizio è il perdono reciproco. Basta perdonare sette volte? È sufficiente? Gesù dice di perdonare settanta volte sette. Due sette ripetuti che non sono limitati dal tempo e dallo spazio, ma diventano infiniti perché i cuori abbiano pace! (ibrahim faltas)