Due Leoni

Nel maggio 1891 Leone XIII dà alle stampe un’enciclica destinata a cambiare il mondo: la Rerum Novarum. Contro un modello basato sullo sfruttamento dei lavoratori e sull’arricchimento di pochi ai danni di molti, il Papa ribadiva la centralità della dignità umana e la necessità della solidarietà, facendo interloquire il cristianesimo con le nuove sfide sociali ed economiche. L’8 maggio 2025, Robert Francis Prevost è stato eletto Papa e ha scelto di chiamarsi Leone. Una scelta tutt’altro che casuale, sulla quale riflette il volume — da oggi, martedì 17 giugno, in libreria — intitolato Leone XIII – Rerum Novarum. Lettera enciclica sulla questione sociale (Lev, HarperCollins, pagine 105, euro 10). Il libro si apre con un’introduzione di Aldo Cazzullo, della quale pubblichiamo alcuni stralci di seguito insieme ai primi due paragrafi dell’enciclica di Papa Pecci.
di Aldo Cazzullo
Ieri, la rivoluzione industriale. Oggi, la rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Oggi come ieri, un Papa chiamato Leone.
Se adesso Papa Leone XIV riscrivesse l’enciclica del suo predecessore Leone XIII, la Rerum Novarum, “Delle cose nuove”, il mondo intero griderebbe allo scandalo. La sinistra lo attaccherebbe per la sua netta condanna del socialismo. La destra gli rimprovererebbe le sue critiche alle disuguaglianze e all’avidità dei capitalisti, anzi dei “padroni”. Tutti lo accuserebbero di invasione di campo. “Il Papa vuole fare politica”, direbbero.
E in effetti la Rerum Novarum è un’enciclica economico-politica. Papa Leone XIII avverte la necessità di interpretare i segni dei tempi, consapevole di star vivendo un tornante della storia. Fin dalle prime parole, la sua analisi colpisce per lucidità e lungimiranza, al punto che potrebbe davvero essere riscritta tale e quale oggi: «L’essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà…».
Ovviamente, il mondo del 1891, quando l’enciclica venne pubblicata, era molto diverso da quello di oggi. Le condizioni della maggioranza della popolazione erano incomparabilmente più difficili. Non esistevano i sistemi sanitari nazionali. L’aspettativa di vita era molto più bassa. I ragazzi, a volte i bambini, venivano considerati adulti più piccoli, destinati al lavoro, spesso con mansioni particolarmente crudeli, ad esempio in miniera. La mente dei maschi non era neppure sfiorata dall’idea che le donne potessero avere i loro stessi diritti; e in ogni caso solo una minoranza degli uomini disponeva dei diritti politici, poteva votare, era libera di esprimere la propria opinione, era in grado di partecipare alla vita pubblica.
Per altri versi, il tempo che ci è dato in sorte è molto simile a quello dei nostri bisnonni. Il grande progresso delle “arti” — come le definisce Leone XIII nella Rerum Novarum —, della tecnologia, della scienza ha creato immense ricchezze. Che però non vengono redistribuite, ma finiscono in poche mani, e spesso messe al sicuro nei paradisi fiscali. Per la gran parte della società, il progresso implica maggiore fatica, maggiore ansia, un peggioramento se non un abbrutimento della qualità della vita. Se allora c’era la rivoluzione industriale, nel tempo che ci è dato in sorte — come Leone XIV ha fatto notare fin dal primo giorno del suo pontificato — c’è la rivoluzione digitale e dell’intelligenza artificiale. Se gli operai distruggevano le macchine, in cui vedevano la loro condanna, stavolta sarà il ceto medio a vedere distrutti i propri lavori: banche, assicurazioni, studi professionali. Impiegati, medici, avvocati, architetti, giornalisti saranno sempre più sostituiti da ChatGPT o come si chiamerà tra qualche anno. Resteranno i lavori di cura, i servizi alle persone, che i nostri figli e nipoti rifiutano di fare, lasciandoli volentieri ai migranti; il cui arrivo, tanto più quando è gestito dai moderni mercanti di esseri umani, procura gravi disagi sociali, una vera e propria guerra tra poveri per la casa, il posto all’asilo nido, il letto in ospedale, i salari, i diritti.
L’intelligenza artificiale non si limita a sostituire l’uomo. Rischia di cancellarlo, come Papa Prevost ha intuito e paventato. Il combinato disposto tra l’intelligenza artificiale, le biotecnologie, le clonazioni renderà in teoria possibile l’avvento di creature post-umane, cyborg dal corpo meccanico, che avranno come cervello il computer e come memoria la Rete, sapranno molte più cose di noi, saranno molto più intelligenti di noi; e non si vede perché dovrebbero obbedirci, anziché darci ordini.
Siamo certi che a quel punto il potere politico starebbe dalla parte degli umani, anziché da quella dei post-umani, che costano di meno, non pretendono salari o diritti, non si ammalano, e rendono molto di più? La spaventosa concentrazione in poche mani di potere economico, potere politico, potere di controllo dei dati crea immensi pericoli e immense velleità. Elon Musk non fa mistero di puntare all’immortalità: se i nostri corpi umani deperiscono e muoiono, la nostra coscienza, la nostra memoria, la nostra identità, inserite come un chip su nuovi apparati biotecnologici, in teoria potrebbero farci vivere per sempre. Non noi, certo; i tecnocrati e i loro cari. Magari su Marte.
Fantascienza? Cosa avrebbero pensato, i lettori della Rerum Novarum, se qualcuno avesse detto che i loro pronipoti si sarebbero parlati a distanza, avrebbero volato nello spazio, avrebbero costruito bombe in grado di distruggere il pianeta, e un giorno avrebbero minacciato seriamente di usarle?
[...] Ero in America quando è accaduto (l’elezione di Leone XIV, ndr). Sul treno regionale 95 da New York a Washington, all’altezza di Philadelphia, all’una e 13 ora locale dell’8 maggio 2025, si è alzato un grido di gioia. Un po’ tutti i passeggeri, tra cui molti afroamericani, stavano seguendo la diretta da San Pietro sul telefonino, chi sulla Cnn chi sulla Fox, a seconda delle inclinazioni politiche. Ma tutti, democratici e repubblicani, neri e bianchi, hanno esultato alla notizia del primo Papa nordamericano della storia.
[…] Nato a Chicago, Illinois — la città segnata dal magistero sociale dell’arcivescovo Joseph Bernardin, molto vicino negli ultimi anni al giovane Obama —, Prevost ha studiato in Pennsylvania nell’università degli agostiniani, Villanova. Motto: Veritas, Unitas, Caritas. Papa Leone — per gli americani Pope Leo — è un vero figlio del mondo. Il padre, Louis Marius, aveva radici francesi e italiane; la madre, Mildred Martinez, viene descritta come di origine spagnola. Ma il New York Times ha rilanciato una storia straordinaria: la nonna materna del Papa, Louise Baquié, era creola; e il nonno, Joseph Martinez, era nero, piccolo proprietario terriero a Seventh Ward, quartiere di New Orleans tradizionalmente abitato da una comunità cattolica di origini africane e caraibiche. I nonni del Papa lasciarono la Louisiana per Chicago agli inizi del Novecento, portando con sé la fede cattolica e la cultura creola della musica e del pesce gatto fritto, che è poi l’humus culturale del South Side di Chicago, dove nacque nel 1955 il loro nipote, Robert Francis. La storia è frutto delle ricerche di uno studioso di genealogie, Jari C. Honora, pure lui educato dagli agostiniani, che lavora presso l’Historic New Orleans Collection, e precisa che i nonni materni del Papa sono descritti come neri o mulatti in tutti i documenti e le testimonianze che ha rintracciato. E la storia è stata confermata al New York Times dal fratello maggiore del Papa, John Prevost, 71 anni, che vive tuttora alla periferia di Chicago.
[…] (Il Papa, ndr) Parla di pace, si rivolge ai poveri, ai deboli, agli ultimi, e nello stesso tempo si presenta con il suo stile, la sua personalità, il suo linguaggio. E il suo nome.
Leone Magno fu il Papa che fermò Attila, non con la spada ma con la croce. Il Papa pacificatore.
Leone era il nome dell’amico più fedele di san Francesco, che fu con lui fino alla fine, restò al suo fianco nell’ora più difficile, quando il santo cercò l’isolamento sulla Verna dove secondo la tradizione ricevette le stimmate, raccolse le sue confidenze e ci ha lasciato su Francesco pagine bellissime. E Papa Prevost, prima di essere scelto dai cardinali nel segreto del conclave, è stato scelto da Papa Bergoglio, che l’ha trovato in un Paese di missione, il Perú, non a Lima o ad Arequipa o a Cuzco ma nella remota Chiclayo, l’ha sentito fratello, l’ha chiamato a Roma nei tempi giusti e l’ha fatto cardinale: al momento dell’elezione, Prevost lavorava nella Curia vaticana come prefetto della potente congregazione dei vescovi da due anni; abbastanza per conoscere la macchina, ma non per essere identificato con essa. Però il motivo principale per cui Papa Leone si chiama così è il testo stampato nelle pagine che seguono. La Rerum Novarum.
[…] Il Papa nordamericano con sangue italiano, francese, spagnolo, africano, creolo si è presentato dicendo che Dio ci ama, e invitandoci l’un l’altro ad amarci tra noi. Leone XIV si annuncia come il Papa di tutti, il Papa del mondo. Per la sua storia personale di figlio delle migrazioni e di missionario. Per il suo messaggio di apertura alle “Chiese sorelle”, alle altre fedi religiose, e — come ha detto con una stupenda espressione, destinata a restare — a «chi coltiva l’inquietudine della ricerca di Dio»: cioè a quasi tutti noi. E per il modo in cui intende dichiaratamente fare il Papa. Con la massima umiltà, e insieme la massima consapevolezza. Ripartendo dalle pagine scritte tanti anni prima da un Papa di cui ha scelto il nome.