Uomini di comunione

Gettiamo semi di santità tra le sfide urbane di violenza e povertà
La comunione, la credibilità e lo sguardo profetico: queste le tre «note» consegnate dal vescovo di Roma al clero della sua diocesi, ricevuto in udienza stamani, giovedì 12 giugno, nell’Aula Paolo VI. Ricordando l’esempio di don Luigi Di Liegro, il quale diede la vita per cercare vie di «promozione umana», Leone XIV ha esortato i presbiteri, i diaconi e i seminaristi romani a «gettare semi di santità» tra le sfide urbane della violenza e della povertà. Ecco il discorso del Pontefice.
Io voglio chiedere un forte applauso per tutti voi che siete qui e per tutti i sacerdoti e i diaconi di Roma!
Carissimi Presbiteri e Diaconi che svolgete il vostro servizio nella Diocesi di Roma, carissimi seminaristi, vi saluto tutti con affetto e amicizia!
Ringrazio Sua Eminenza, il Cardinale Vicario, per le parole di saluto e per la presentazione che ha fatto, raccontando un po’ della vostra presenza in questa città.
Ho desiderato incontrarvi per conoscervi da vicino e per iniziare a camminare insieme a voi. Vi ringrazio per la vostra vita donata a servizio del Regno, per le vostre fatiche quotidiane, per tanta generosità nell’esercizio del ministero, per tutto ciò che vivete nel silenzio e che, a volte, è accompagnato da sofferenza o da incomprensione. Svolgete servizi diversi ma siete tutti preziosi agli occhi di Dio e nella realizzazione del suo progetto.
La Diocesi di Roma presiede nella carità e nella comunione, e può compiere questa missione grazie ad ognuno di voi, nel vincolo di grazia con il Vescovo e nella feconda corresponsabilità con tutto il popolo di Dio. La nostra è una Diocesi davvero particolare, perché tanti sacerdoti arrivano da diverse parti del mondo, specialmente per motivi di studio; e questo implica che anche la vita pastorale — penso soprattutto alle parrocchie — sia segnata da questa universalità e dalla reciproca accoglienza che essa comporta.
Proprio a partire da questo sguardo universale che Roma offre, vorrei condividere cordialmente con voi alcune riflessioni.
La prima nota, che mi sta particolarmente a cuore, è quella dell’unità e della comunione. Nella preghiera detta “sacerdotale”, come sappiamo, Gesù ha chiesto al Padre che i suoi siano una cosa sola (cfr. Gv 17, 20-23). Il Signore sa bene che solo uniti a Lui e uniti tra di noi possiamo portare frutto e dare al mondo una testimonianza credibile. La comunione presbiterale qui a Roma è favorita dal fatto che per antica tradizione si è soliti vivere insieme, nelle canoniche come nei collegi o in altre residenze. Il presbitero è chiamato ad essere l’uomo della comunione, perché lui per primo la vive e continuamente la alimenta. Sappiamo che questa comunione oggi è ostacolata da un clima culturale che favorisce l’isolamento o l’autoreferenzialità. Nessuno di noi è esente da queste insidie che minacciano la solidità della nostra vita spirituale e la forza del nostro ministero.
Ma dobbiamo vigilare perché, oltre al contesto culturale, la comunione e la fraternità tra di noi incontrano anche alcuni ostacoli per così dire “interni”, che riguardano la vita ecclesiale della Diocesi, le relazioni interpersonali, e anche ciò che abita nel cuore, specialmente quel sentimento di stanchezza che sopraggiunge perché abbiamo vissuto delle fatiche particolari, perché non ci siamo sentiti compresi e ascoltati, o per altri motivi. Io vorrei aiutarvi, camminare con voi, perché ciascuno riacquisti serenità nel proprio ministero; ma proprio per questo vi chiedo uno slancio nella fraternità presbiterale, che affonda le sue radici in una solida vita spirituale, nell’incontro con il Signore e nell’ascolto della sua Parola. Nutriti da questa linfa, riusciamo a vivere relazioni di amicizia, gareggiando nello stimarci a vicenda (cfr. Rm 12, 10); avvertiamo il bisogno dell’altro per crescere e per alimentare la stessa tensione ecclesiale.
La comunione va tradotta anche nell’impegno in questa Diocesi; con carismi diversi, con percorsi di formazione differenti e anche con servizi differenti, ma unico dev’essere lo sforzo per sostenerla. A tutti chiedo di porre attenzione al cammino pastorale di questa Chiesa che è locale ma, a motivo di chi la guida, è anche universale. Camminare insieme è sempre garanzia di fedeltà al Vangelo; insieme e in armonia, cercando di arricchire la Chiesa con il proprio carisma ma avendo a cuore l’essere l’unico corpo di cui Cristo è il Capo.
La seconda nota che desidero consegnarvi è quella dell’esemplarità. In occasione delle ordinazioni sacerdotali dello scorso 31 maggio, nell’omelia ho richiamato l’importanza della trasparenza della vita, sulla base delle parole di San Paolo che agli anziani di Efeso dice: «Voi sapete come mi sono comportato» (At 20, 18). Ve lo chiedo con il cuore di padre e di pastore: impegniamoci tutti ad essere sacerdoti credibili ed esemplari! Siamo consapevoli dei limiti della nostra natura e il Signore ci conosce in profondità; ma abbiamo ricevuto una grazia straordinaria, ci è stato affidato un tesoro prezioso di cui siamo ministri, servitori. E al servo è chiesta la fedeltà. Nessuno di noi è esente dalle suggestioni del mondo e la città, con le sue mille proposte, potrebbe anche allontanarci dal desiderio di una vita santa, inducendo un livellamento verso il basso dove si perdono i valori profondi dell’essere presbiteri. Lasciatevi ancora attrarre dalla chiamata del Maestro, per sentire e vivere l’amore della prima ora, quello che vi ha spinto a fare scelte forti e rinunce coraggiose. Se insieme proveremo ad essere esemplari dentro una vita umile, allora potremo esprimere la forza rinnovatrice del Vangelo per ogni uomo e per ogni donna.
Un’ultima nota che desidero consegnarvi è quella dello sguardo alle sfide del nostro tempo in chiave profetica. Siamo preoccupati e addolorati per tutto quello che succede ogni giorno nel mondo: ci feriscono le violenze che generano morte, ci interpellano le disuguaglianze, le povertà, tante forme di emarginazione sociale, la sofferenza diffusa che assume i tratti di un disagio che ormai non risparmia più nessuno. E queste realtà non accadono solo altrove, lontano da noi, ma interessano anche la nostra città di Roma, segnata da molteplici forme di povertà e da gravi emergenze come quella abitativa. Una città in cui, come notava Papa Francesco, alla “grande bellezza” e al fascino dell’arte deve corrispondere anche «il semplice decoro e la normale funzionalità nei luoghi e nelle situazioni della vita ordinaria, feriale. Perché una città più vivibile per i suoi cittadini è anche più accogliente per tutti» (Omelia nei Vespri con Te Deum, 31 dicembre 2023).
Il Signore ha voluto proprio noi in questo tempo pieno di sfide che, a volte, ci appaiono più grandi delle nostre forze. Queste sfide siamo chiamati ad abbracciarle, a interpretarle evangelicamente, a viverle come occasioni di testimonianza. Non scappiamo di fronte ad esse! L’impegno pastorale, come quello dello studio, diventino per tutti una scuola per imparare a costruire il Regno di Dio nell’oggi di una storia complessa e stimolante. In tempi recenti abbiamo avuto l’esempio di santi sacerdoti che hanno saputo coniugare la passione per la storia con l’annuncio del Vangelo, come don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, profeti di pace e di giustizia. E qui a Roma abbiamo avuto don Luigi Di Liegro che, di fronte a tante povertà, ha dato la vita per cercare vie di giustizia e di promozione umana. Attingiamo alla forza di questi esempi per continuare a gettare semi di santità nella nostra città.
Carissimi, vi assicuro la mia vicinanza, il mio affetto e la mia disponibilità a camminare con voi. Affidiamo al Signore la nostra vita sacerdotale e chiediamogli di crescere nell’unità, nell’esemplarità e nell’impegno profetico per servire il nostro tempo. Ci accompagni l’accorato appello di Sant’Agostino che disse: «Amate questa Chiesa, restate in questa Chiesa, siate questa Chiesa. Amate il buon Pastore, lo Sposo bellissimo, che non inganna nessuno e non vuole che alcuno perisca. Pregate anche per le pecore sbandate: che anch’esse vengano, anch’esse riconoscano, anch’esse amino, perché vi sia un solo ovile e un solo pastore» (Discorso 138, 10). Grazie!
L’esempio di don Luigi Di Liegro
«L’esempio di santi sacerdoti che hanno saputo coniugare la passione per la storia con l’annuncio del Vangelo» è stato proposto da Leone XIV ai preti romani incontrati stamane. Tre i nomi indicati dal Pontefice «don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, profeti di pace e di giustizia. E qui a Roma... don Luigi Di Liegro che, di fronte a tante povertà, ha dato la vita per cercare vie di giustizia e di promozione umana», ha spiegato il Papa, esortando ad attingere «alla forza di questi esempi per continuare a gettare semi di santità nella nostra città». Del resto il ricordo del fondatore e primo direttore della Caritas diocesana (1928-1997) è sempre vivo nel clero dell’Urbe, anche a quasi trent’anni dalla morte.
«Non si può amare senza sporcarsi le mani. Ma soprattutto non si può amare senza condividere»: questo il programma di vita del prete nato a Gaeta, che già a dieci anni manifestò il desiderio di entrare in seminario, sostenuto dalla sorella maggiore, suora del santuario della Madonna del Divino Amore. Frequentato il seminario minore studiando al liceo Sant’Apollinare, proseguì la formazione nel Seminario maggiore. Ordinato presbitero nel 1953, divenne vice parroco di San Leone in via Prenestina, in un quartiere operaio della periferia est della città; qui don Luigi iniziò a occuparsi dei problemi dei lavoratori sviluppando quell’attenzione al sociale che caratterizzò tutta la sua esistenza.
Nominato assistente del Movimento lavoratori della Gioventù di Azione cattolica di Roma (Giac) nel 1957, l’anno dopo in Belgio entrò in contatto con la Jeunesse Ouvrière Chrétienne. Successivamente impegnato nella pastorale giovanile della Giac romana, nel 1965 ne divenne assistente, accompagnando per sei anni l’Ac romana nell’applicazione del nuovo Statuto.
Nel 1972 venne chiamato dal cardinale vicario Angelo Dell’Acqua a guidare il Centro pastorale diocesano per l’animazione della comunità cristiana e i servizi sociali. Da esso presero vita la nuova articolazione territoriale della diocesi e il Convegno del 1974 dedicato a La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di giustizia e di carità nella diocesi di Roma, passato alla storia come il “convegno sui Mali di Roma”.
Dal 1975 iniziò ad occuparsi della zona del Centro Giano di Acilia, dove negli anni Ottanta sorse una nuova parrocchia di cui divenne amministratore. Alla fine del 1979 la nomina a direttore della neonata Caritas, incarico ricoperto fino alla morte. Durante il suo mandato furono realizzate numerose strutture per far fronte al disagio sociale: centri di ascolto, ambulatori, centri di raccolta e distribuzione di medicinali, le mense e un ostello che oggi ne porta il nome.
Migliaia di persone parteciparono al suo funerale, celebrato a San Giovanni in Laterano il 15 ottobre 1997.