· Città del Vaticano ·

La questione migratoria torna a scuotere gli Stati Uniti d’America

Violato il coprifuoco, almeno 400 arresti a Los Angeles

LOS ANGELES, CALIFORNIA - JUNE 10: California Highway Patrol (CHP) officers detain protesters near ...
11 giugno 2025

di Lorenzo Castellani

La questione migratoria torna a scuotere gli Stati Uniti d’America. Le proteste a favore dei migranti che, da diversi giorni, hanno infiammato varie città dello Stato democratico della California rappresentano uno dei momenti più delicati e controversi di questo primo anno della seconda presidenza di Donald Trump. Le parole utilizzate ieri dal presidente lo confermano: «Libereremo Los Angeles e la renderemo di nuovo sicura» ma «finché non avremo la pace, i soldati non se ne andranno». Le decisioni prese da Washington sono altrettanto rigide, come dimostra tra tutte il dispiegamento di migliaia di soldati della Guardia nazionale e, successivamente, anche dei Marines. Tutto ciò sta suscitando un acceso dibattito sia a livello locale che nazionale e sta inoltre dando il via a un inasprimento degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Sui social ha spopolato il video del saccheggio di un centro Apple nel centro di Los Angeles. Per «fermare il vandalismo» il sindaco Karen Bass ha imposto un coprifuoco tra le 20 di sera e le 6 del mattino in un’area ristretta di 2,5 chilometri quadrati che, applicato a tutti, ha però scatenato nuovi arresti di massa nel centro della città. Finora sarebbero state fermate almeno 400 persone. Trump ha promesso che «molto c’è ancora da fare», sostenendo peraltro che le manifestazioni nella città sono guidate da «rivoltosi pagati che sventolano bandiere straniere con l’obiettivo di invaderci».

D’altronde, la promessa elettorale di fermare l’immigrazione illegale è forse la più forte fra quelle fatte da Trump ai suoi elettori. Il presidente è pronto a sfruttare ogni occasione per ribadire il suo impegno. Questo atteggiamento sta però entrando in contrasto con la politica dei governi locali, specie quando questi sono guidati da amministrazioni favorevoli all’accoglienza di migranti anche irregolari. Il primo aspetto che emerge dagli scontri di Los Angeles è proprio questa frattura politica e sociale in atto nel Paese, tanto sul tema migratorio quanto sulla divisione delle responsabilità tra Stato centrale e Stati federali.

Trump ha motivato la sua decisione con la necessità di ristabilire «legge e ordine» in una città che, secondo le sue parole, sarebbe stata «invasa da immigrati clandestini e criminali» e minacciata da «orde violente e insurrezioniste» che ostacolavano le operazioni di deportazione. Il presidente ha accusato le autorità locali, in particolare il governatore Gavin Newsom e il sindaco Karen Bass, di incompetenza e di aver lasciato degenerare la situazione. Trump ha inoltre sottolineato che senza l'intervento federale Los Angeles sarebbe stata «completamente annientata», rivendicando la necessità di azioni drastiche per garantire la sicurezza. La risposta delle istituzioni californiane è stata altrettanto ferma. Il governatore Newsom ha definito l’ordine di Trump «illegale e intenzionalmente provocatorio», sostenendo che «la democrazia è sotto attacco», annunciando un ricorso legale contro la Casa Bianca e accusando il presidente di voler alimentare le tensioni e violare la sovranità dello Stato. Secondo le autorità locali, la situazione era sotto controllo prima dell’arrivo dei militari federali e molti analisti hanno visto nella mossa di Trump un tentativo di spettacolarizzare la crisi per fini politici. «La California può essere la prima, ma chiaramente non finirà qui. Altri Stati seguiranno», ha avvertito Newsom con tono cupo.

Su uno sfondo fatto di lacrimogeni, proiettili di gomma e manganelli, ecco emergere un secondo aspetto delle proteste di Los Angeles: i tratti tipici di una violenza bipartisan che né il governo della California né la Casa Bianca riescono pienamente a controllare. La risposta di Trump s’inserisce in una strategia già vista in passato, dove la sicurezza — tema centrale nell’epoca contemporanea — viene posta in primo piano anche a costo di forzare i limiti dell’autorità presidenziale e della collaborazione tra governo federale e Stati. Il ricorso alla Guardia nazionale senza il consenso delle autorità locali non si verificava dal 1965, segnando un precedente rilevante per il rapporto tra politica e uso della forza. Di fronte a una situazione complessa, è comprensibile che il governo federale voglia garantire il rispetto delle leggi. Tuttavia, la scelta di rispondere con la forza militare rischia di alimentare la polarizzazione.

La crisi di Los Angeles diviene così il riflesso di una frattura profonda nel Paese, segno di malessere e divisioni profonde in seno alla società americana che assumono i pericolosi contorni della violenza e della forza. Se infatti la lotta politica di Trump nel governo, nel sistema giudiziario e nelle università si svolge a colpi di decreti, nomine e fondi, sul piano dell’immigrazione questa lotta assume i tratti dello scontro per le strade. Che riguarda tutto e tutti. È una dinamica ben più pericolosa e difficile da controllare. (lorenzo castellani)


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