· Città del Vaticano ·

Compromessa la possibilità di finanziare la spesa pubblica per uscire dalla povertà

Il peso del debito
è tornato insostenibile
per i paesi del Sud Globale

 Il peso del debito è tornato insostenibile per i paesi del Sud Globale  QUO-134
11 giugno 2025

Occorre rendere la finanza strumento di pace
e non di violazione della dignità


di Riccardo Moro*

Venticinque anni, 2000-2025. Il peso del debito è tornato a gravare in modo insostenibile sui paesi del cosiddetto Sud Globale compromettendo la possibilità di finanziare in modo adeguato la spesa pubblica per uscire dalla povertà. Per questo, a 25 anni di distanza dal Grande Giubileo del 2000, Papa Francesco ha lanciato per il 2025 il Giubileo della Speranza e, come aveva già fatto Giovanni Paolo II, ha proposto alla comunità internazionale un esigente impegno per intervenire sul debito internazionale.

L’appello giubilare affonda le sue radici nel Libro del Levitico in cui il Signore, dopo avere guidato il suo popolo alla Terra Promessa, spiega che i membri della comunità sono liberi di scambiarsi beni e terra e prestarsi denaro. Chi non riuscisse a restituire il debito potrà pagarlo cedendo la propria terra e il lavoro delle proprie braccia. Ma ogni cinquanta anni si dovrà ritornare all’equilibrio di partenza: la terra dovrà ritornare al proprietario originario, la libertà sarà restituita e gli eventuali debiti estinti. «La Terra è mia» dice con vigore il Signore, chiarendo che il ritorno alla condizione originaria deve essere garantito per evitare che quelli che oggi chiamiamo “errori del mercato”, che creano disuguaglianze tali da compromettere la dignità umana. L’invito giubilare è dunque quello di guardare alle degenerazioni di un mercato senza regole e intervenire per stabilire una nuova partenza in condizioni di dignità per tutti.

Alle soglie del 2000 i paesi indebitati pagavano per servire il debito, cioè per interessi e rate di rimborso, cifre varie volte superiori a quelle che riuscivano a destinare alla spesa per scuole, ospedali e infrastrutture, condannando di fatto alla povertà. Quel debito si era originato anni prima, con le crisi del petrolio degli anni ’70. I proventi del petrolio, immessi sui mercati finanziari internazionali, avevano creato una grande liquidità, che abbassò i tassi di interesse e provocò inflazione, rendendo molto conveniente l’indebitamento. Ma all’inizio degli anni ’80 le politiche di ispirazione monetarista dei governi che ospitavano le principali piazze finanziarie, Stati Uniti e Gran Bretagna, reagirono all’inflazione con fortissimi aumenti dei tassi di interesse e, da parte Usa, facendo aumentare il valore del dollaro. L’impennata dei tassi di interesse si applicò anche ai debiti del Sud del mondo, che divennero ancora più gravosi perché da pagare in dollari, richiedendo quantità di valuta nazionale da cambiare in dollari molto maggiore rispetto a quanto programmato alla sottoscrizione. La crisi scoppiò presto, nel 1982, e governi dei paesi ricchi e istituzioni finanziarie internazionali (Ifi) come il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale intervennero con nuovi prestiti, che permisero ai paesi indebitati di sanare i loro rapporti con le banche. Quell’intervento non fu affatto risolutivo. I nuovi prestiti furono vincolati alle Politiche di aggiustamento strutturale, liberalizzazioni selvagge dell’economia e contrazioni della spesa pubblica che si rivelarono del tutto inefficaci a contenere il debito e, anzi, concorsero a impoverire ulteriormente la popolazione e ad aumentare la dipendenza dal Nord.

L’appello giubilare provocò un grande dibattito e produsse risultati rilevanti. Tra questi l’iniziativa Hipc (Highly Indebted Poor Countries), che cancellò i debiti di una quarantina di paesi a basso reddito, e le operazioni di conversione del debito per molti paesi a medio reddito. Soprattutto, vennero abolite le Politiche di aggiustamento strutturale, sostituite dalle Strategie di riduzione della povertà, che chiedevano ai governi di investire nella spesa sociale, presentando piani strategici di lotta alla povertà che dovevano essere confrontati con la società civile locale, dando trasparenza e dignità al dibattito locale, sino a quel momento soffocato dai governi meno democratici. Le Strategie, avviate nel 1999, vennero arricchite nel 2000 dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, che alla loro scadenza generarono l’Agenda 2030 con i suoi Obbiettivi di Sviluppo Sostenibile. Si trattò cioè di una stagione feconda che aprì nuove prospettive e grandi speranze.

Ma perché oggi il debito è di nuovo un problema? Dopo il 2000 gli accordi di cancellazione danno ossigeno alle finanze pubbliche e creano la possibilità di indebitarsi di nuovo, questa volta in modo sostenibile. Non vengono raggiunte però intese comuni sulle regole del “prestito responsabile”, per evitare crisi future. Entrano così in gioco nuovi prestatori che offrono denaro facile ai Paesi del Sud, fra questi in particolare la Cina, e ritornano i prestatori privati: gli acquirenti dei titoli pubblici che i governi tornano a poter emettere e i gruppi finanziari che firmano contratti di prestito. Le cose si sviluppano senza gravi scosse sino intorno al 2008, quando la crisi, nata sui mercati finanziari Usa, provoca contrazione del Prodotto interno lordo (Pil) in tutto il mondo e conseguente riduzione delle entrate fiscali. I governi spendono per contrastare la crisi e sostenere i redditi e, viste le minori entrate, si indebitano di nuovo, sia con nuovi contratti di prestito sia con emissione di titoli. Dopo una decina di anni il Covid, con i lockdown, determina una contrazione del Pil ancora più forte, proprio mentre deve aumentare non solo la spesa per sostenere l’economia, ma anche quella sanitaria. L’indebitamento raggiunge livelli ancora più alti e diventa più oneroso a causa dell’aumento dei tassi di interesse per combattere l’inflazione causata dalla ripresa della domanda post-lockdown e, poco dopo, dall’impatto della guerra in Ucraina sui prezzi energetici.

Il risultato è quello di una nuova emergenza in cui il debito dei paesi a basso e medio reddito procapite inibisce di nuovo la spesa pubblica, in contesti decisamente più faticosi di quelli dei paesi ad alto reddito.

Come ricorda l’Unctad (UN Trade and Development)), questi paesi finanziano la salute con il 2,9% del proprio Prodotto interno lordo (Pil), mentre i paesi ricchi destinano il 9,2 di Pil ben più elevati. La spesa per l’istruzione è del 3,6% del Pil, contro il 4,8% dei paesi ricchi. Tutto questo produce disuguaglianze che si autoalimentano. In Italia l’aspettativa di vita alla nascita è intorno agli 84 anni, in Nigeria non arriva a 55. In Italia in media 3 bambini su 1000 non superano il quinto anno di età, nell’Africa sub Sahariana 68. Il reddito medio nell’Unione Europea supera i 40.000 dollari, in Pakistan è 1.365, in Burundi addirittura 193. In un quadro di questo tipo, il servizio del debito è sistematicamente aumentato negli ultimi anni, sino a produrre trasferimenti netti negativi: i paesi del Sud Globale pagano ai creditori più delle risorse che ricevono, una situazione che può affrontare un debitore in salute, non chi persegue gli obiettivi dell’Agenda 2030 partendo da una condizione già gravemente vulnerabile.

Si tratta di un’emorragia insostenibile, che rivela un fenomeno da non sottovalutare. Negli ultimi anni, con l’aumento dei tassi di interesse e dei rischi di insolvenza, i creditori privati stanno riducendo il numero delle nuove erogazioni, mentre aumentano quelle dei prestatori pubblici. La Banca Mondiale e le banche multilaterali di sviluppo stanno sostituendo i privati, permettendo loro di uscire da un quadro in cui il rischio sta aumentando, portando comunque a casa utili maggiori di quelli previsti inizialmente, grazie proprio all’intervento pubblico. Come è già stato affermato da Joseph Stiglitz e da altri colleghi, questo rivela il disfunzionamento dei mercati finanziari che dovrebbero consentire finanziamenti sostenibili con interventi di emergenza da parte pubblica in casi eccezionali, non un intervento pubblico che in termini sistemici risolve di fatto i rischi dei creditori e lascia indebitati i debitori. È un mercato, inoltre, che non è in grado di contenere il fenomeno dei fondi avvoltoio, che acquistano sui mercati secondari titoli di debito a prezzo scontato e ne richiedono il pagamento al valore di facciata dai tribunali civili.

È in questo quadro che Papa Francesco ha lanciato l’appello giubilare, facendo notare come, simmetrico a quello finanziario, ci sia anche un debito ecologico. I paesi del Sud hanno subito storiche sottrazioni di risorse naturali e minerarie e oggi devono sostenere le spese causate dal cambiamento climatico, che genera fenomeni meteo distruttivi, processi di desertificazione e migrazioni, senza averne la responsabilità, che appartiene invece ai paesi di prima e seconda industrializzazione. Un intervento urgente sul debito finanziario è giustificato anche dal peso del debito ecologico, che in termini di giustizia compensa il debito finanziario, per non parlare del “debito odioso” in Africa, che dovrebbe essere considerato calcolando l’incalcolabile valore delle persone sottratte in schiavitù dal continente.

Le soluzioni proposte sinora non sono state efficaci. Il Common Framework del G20 consente cancellazioni a condizione che anche i creditori privati accettino di partecipare. Il principio è corretto, ma di fatto oggi solo 4 paesi in 5 anni hanno ottenuto riduzioni del debito. Occorre un più generale intervento sulla regolazione dei mercati finanziari capace di coinvolgere anche gli operatori privati, sulla governance delle istituzioni finanziarie internazionali e le opportunità di finanziamento dello sviluppo.

Fra meno di un mese si svolgerà l’appuntamento più importante di quest’anno per questi temi: la Conferenza delle Nazioni Unite sul finanziamento dello sviluppo di Siviglia. In quella sede i governi di tutto il mondo discuteranno di come far affluire risorse verso i paesi che fanno più fatica a finanziare l’Agenda 2030. Il debito sarà uno dei temi centrali. La società civile internazionale, in sintonia con l’appello giubilare, chiede che si crei presso le Nazioni Unite un meccanismo che permetta di definire regole condivise di prestito responsabile, di aggiornare i criteri di sostenibilità del debito, includendo la dimensione sociale e ambientale, e di gestire le crisi del debito, alla luce dei nuovi criteri, con cancellazioni in caso di insostenibilità.

Si tratta di un appuntamento di fondamentale importanza, in un quadro internazionale preoccupante in cui crescono populismi e violenza, minando democrazia e multilateralismo, strumenti essenziali per alimentare la pace.

La società civile internazionale si sta impegnando nella campagna Turn Debt into Hope, promossa da Caritas Internationalis insieme a molti attori di ogni provenienza, che ha la sua articolazione italiana nella Campagna Cambiare la rotta. Trasformare il debito in speranza, e parteciperà in modo attivo alla Conferenza di Siviglia. La Pontificia Accademia delle Scienze Sociali il 20 giugno presenterà un documento sul debito proprio in preparazione di Siviglia, mentre i governi stanno gestendo le fasi finali del negoziato preparatorio. L’attesa è grande. Speriamo che i governi sappiano essere all’altezza, per rendere la finanza strumento di pace e non di violazione della dignità. Una dignità che è oggi è compromessa non solo per chi ha fame, ma anche per chi ostacola le soluzioni o rimane indifferente.

*Università Statale di Milano.
In occasione del Giubileo del 2000 è stato direttore della Fondazione “Giustizia e Solidarietà” della Cei
e coordinatore delle le operazioni di remissione del debito di due Paesi africani (Guinea Conakry e Zambia)
nei confronti dell’Italia, e più recentemente direttore del Fondo italo-peruviano di conversione del debito.