· Città del Vaticano ·

«Nell’attesa di un nuovo inizio» di Angelo Scola

Pensare la morte

 Pensare la morte  QUO-133
10 giugno 2025

di Giovanni Micheli

Un libro di «paradossale attualità» che fa il «contropelo alla cultura di oggi in tanti suoi aspetti». Massimo Cacciari, filosofo noto al grande pubblico, ha usato parole importanti per raccontare la sua lettura dell’ultimo libro del cardinale Angelo Scola, arcivescovo emerito di Milano, già Patriarca di Venezia Nell’attesa di un nuovo inizio. Riflessioni sulla vecchiaia (Libreria Editrice Vaticana, 2025, pagine 80, euro 10) che lui stesso ha presentato il 9 giugno a Milano in un affollato evento nella sede dell’Arcivescovado, presente monsignor Mario Enrico Delpini, successore di Scola sulla cattedra di Ambrogio. Ricordando «l’amicizia e la collaborazione con Scola per molti anni» quando era sindaco di Venezia, Cacciari ha voluto evidenziare «il rapporto di grande cordialità e di passione intellettuale» che lo unisce ancor oggi al porporato lecchese: «Voglio sottolineare la sua grande apertura, la sua cultura come lettore in tutti i campi, come si evince da questo suo scritto — da Leopardi a Balthasar, da Eliot a Ratzinger —, un uomo dalla ferma convinzione in tutto quel che crede, persona mai facile all’intesa».

Il dialogo andato in scena tra Delpini e Cacciari è ruotato attorno alla magna quaestio della vita eterna, tema che il cardinale Scola affronta nel suo scritto e su cui si sofferma anche Papa Francesco che volle firmare la prefazione al volume: «Forse dovremmo trovare una parola diversa per dire questa verità del cristianesimo — ha sottolineato Delpini — e dire che la vita è eterna».

«Noi siamo animali che sanno di morire — ha evidenziato Cacciari — ma la nostra cultura attuale fa di tutto per farcelo dimenticare. Invece è la meditatio mortis, da Platone in poi, che Scola ci richiama in questo libro, piccolo di dimensioni ma di grande valore filosofico e teologico». Il filosofo ha poi richiamato il senso autentico del “pensare la morte”: «Il saper morire è qui, ogni istante della nostra vita, nella coscienza che potrebbe essere l’ultimo. È l’eschaton, essere di fronte al giudizio: di Dio o degli altri o di noi stessi, non importa, ma perché di giudizio si tratta».

Delpini da parte sua ha tenuto a rilevare come il pensiero possa nascere «dalla meraviglia, o come nel caso di questo libro, dall’angoscia: c’è nel libro del cardinale Scola la domanda: “Che ne sarà di me?”. Ma questa domanda ha una risposta che è un incontro e un abbraccio, quelli di Dio. Nelle affermazioni di Scola troviamo una dichiarazione commovente, di angoscia e speranza mescolate insieme».

Delpini e Cacciari — moderati da Catia Caramelli, giornalista di Radio24 —, si trovano d’accordo sul fatto che la faccenda della vita eterna non è metafisica, ma ha che fare con la pagina evangelica del «discorso della montagna», su quell’invito ad amare, a non odiare, a perdonare. Il filosofo dice che anche lui, non credente, vorrebbe «quella vita beata»; l’arcivescovo ricorda che questa dicitura non è un principio filosofico ma «ha a che fare con la relazione con Dio, perché la vita eterna è la vita di Dio». Cacciari insiste su un’attesa che egli coltiva, da non credente, rispetto alla comunità cristiana e alla persona di fede: «Questo è quello che a me piace dell’autentico pensiero teologico, un pensiero che va alla radice delle questioni, e che fa il contropelo alla cultura di oggi, ad esempio sull’idea della morte. Su questo il filosofo non credente sarà sempre in ascolto della voce religiosa».

Scola è intervenuto con una video-intervista, breve ma di forte impatto emotivo, nella quale ha ringraziato i due relatori, ricordando «l’amicizia con Cacciari» e manifestando una stima intensa per il suo successore Delpini. E ricordando il gesto di Papa Francesco appena dopo la sua elezione a pontefice in Cappella Sistina: «Venne dietro di me, io non me ne ero neppure accorto, per abbracciarmi». E il filo di emozione che incrina la voce del cardinale lombardo è un’attestazione forte della comunione in Cristo che ha unito indefettibilmente il pontefice argentino e l’arcivescovo emerito di Milano.