Il Giubileo della Santa Sede

«Tutta la fecondità della Chiesa dipende dalla Croce di Cristo. Altrimenti è apparenza, se non peggio». Lo ha detto Leone XIV ai circa cinquemila partecipanti al Giubileo della Santa Sede, durante la messa presieduta all’altare della Cattedra della basilica di San Pietro stamani, lunedì 9 giugno, memoria liturgica di Maria Madre della Chiesa. La celebrazione eucaristica è stata preceduta, in Aula Paolo VI, dalla meditazione proposta da suor Riva e dal passaggio della Porta Santa della basilica Vaticana. Pubblichiamo l’omelia del vescovo di Roma.
Cari fratelli e sorelle,
oggi abbiamo la gioia e la grazia di celebrare il giubileo della Santa Sede nella memoria liturgica di Maria Madre della Chiesa. Questa felice coincidenza è fonte di luce e di ispirazione interiore nello Spirito Santo, che ieri, Pentecoste, si è riversato in abbondanza sul popolo di Dio. E in questo clima spirituale noi oggi godiamo una giornata speciale, prima con la meditazione che abbiamo ascoltato e ora, qui, alla Mensa della Parola e dell’Eucaristia.
La Parola di Dio in questa celebrazione ci fa comprendere il mistero della Chiesa, e in essa della Santa Sede, alla luce delle due icone bibliche scritte dallo Spirito nella pagina degli Atti degli Apostoli (1, 12-14) e in quella del Vangelo di Giovanni (19, 25-34).
Partiamo da quella fondamentale, che è il racconto della morte di Gesù. Giovanni, unico dei Dodici presente al Calvario, ha visto e ha testimoniato che sotto la croce, insieme alle altre donne, c’era la madre di Gesù (v. 25). E ha sentito con le sue orecchie le ultime parole del Maestro, tra le quali queste: «Donna, ecco tuo figlio!», e poi, rivolte a lui: «Ecco tua madre!» (v. 26-27).
La maternità di Maria attraverso il mistero della Croce ha fatto un salto impensabile: la madre di Gesù è diventata la nuova Eva, perché il Figlio l’ha associata alla sua morte redentrice, fonte di vita nuova ed eterna per ogni uomo che viene a questo mondo. Il tema della fecondità è ben presente in questa liturgia. L’Orazione “colletta” lo ha messo subito in luce facendoci chiedere al Padre che la Chiesa, sorretta dall’amore di Cristo, «sia sempre più feconda nello Spirito».
La fecondità della Chiesa è la stessa fecondità di Maria; e si realizza nell’esistenza dei suoi membri nella misura in cui essi rivivono, “in piccolo”, ciò che ha vissuto la Madre, cioè amano secondo l’amore di Gesù. Tutta la fecondità della Chiesa e della Santa Sede dipende dalla Croce di Cristo. Altrimenti è apparenza, se non peggio. Ha scritto un grande teologo contemporaneo: «Se la Chiesa è l’albero cresciuto dal piccolo granello di senapa della croce, quest’albero è destinato a produrre a sua volta granelli di senapa, e quindi frutti che ripetono la forma della croce, perché proprio alla croce devono la loro esistenza» (H.U. von Balthasar, Cordula ovverosia il caso serio, Brescia 1969, 45-46).
Nella Colletta abbiamo chiesto anche che la Chiesa «esulti per la santità dei suoi figli». In effetti, questa fecondità di Maria e della Chiesa è inseparabilmente legata alla sua santità, cioè alla sua conformazione a Cristo. La Santa Sede è santa come lo è la Chiesa, nel suo nucleo originario, nella fibra di cui è intessuta. Così la Sede Apostolica custodisce la santità delle sue radici mentre ne è custodita. Ma non è meno vero che essa vive anche nella santità di ciascuno dei suoi membri. Perciò il modo migliore di servire la Santa Sede è cercare di essere santi, ciascuno di noi secondo il suo stato di vita e il compito che gli è stato affidato.
Ad esempio, un prete che personalmente sta portando una croce pesante a motivo del suo ministero, e tuttavia ogni giorno va in ufficio e cerca di fare al meglio il suo lavoro con amore e con fede, questo prete partecipa e contribuisce alla fecondità della Chiesa. E così un padre o una madre di famiglia, che a casa vive una situazione difficile, un figlio che dà pensieri, o un genitore malato, e porta avanti il suo lavoro con impegno, quell’uomo e quella donna sono fecondi della fecondità di Maria e della Chiesa.
Veniamo ora alla seconda icona, quella scritta da San Luca all’inizio degli Atti degli Apostoli, che raffigura la madre di Gesù insieme agli Apostoli e ai discepoli nel Cenacolo (1, 12-14). Ci mostra la maternità di Maria verso la Chiesa nascente, una maternità “archetipica”, che rimane attuale in ogni tempo e luogo. E soprattutto essa è sempre frutto del Mistero pasquale, del dono del Signore crocifisso e risorto.
Lo Spirito Santo, che scende con potenza sulla prima comunità è lo stesso che Gesù ha consegnato col suo ultimo respiro (cfr. Gv 19, 30). Questa icona biblica è inseparabile dalla prima: la fecondità della Chiesa è sempre legata alla Grazia sgorgata dal Cuore trafitto di Gesù insieme al sangue e all’acqua, simbolo dei Sacramenti (cfr. Gv 19, 34).
Maria, nel Cenacolo, grazie alla missione materna ricevuta ai piedi della croce, è al servizio della comunità nascente: è la memoria vivente di Gesù, e in quanto tale è, per così dire, il polo d’attrazione che armonizza le differenze e fa sì che la preghiera dei discepoli sia con-corde.
Gli Apostoli, anche in questo testo, sono elencati per nome, e come sempre il primo è Pietro (cfr. v. 13). Ma lui stesso, anzi, lui per primo è sostenuto da Maria nel suo ministero. Analogamente la Madre Chiesa sostiene il ministero dei successori di Pietro con il carisma mariano. La Santa Sede vive in maniera del tutto peculiare la compresenza dei due poli, quello mariano e quello petrino. Ed è quello mariano che assicura la fecondità e la santità di quello petrino, con la sua maternità, dono di Cristo e dello Spirito.
Carissimi, lodiamo Dio per la sua Parola, lampada che rischiara i nostri passi, anche la nostra vita quotidiana al servizio della Santa Sede. E, illuminati da questa Parola, rinnoviamo la nostra preghiera: “Concedi, o Padre, che la tua Chiesa, sorretta dall’amore di Cristo, sia sempre più feconda nello Spirito, esulti per la santità dei suoi figli e raccolga nel suo grembo l’intera famiglia umana” (Oraz. Colletta). Amen.
Una “famiglia” al servizio della Sede Apostolica
di Tiziana Campisi
Un piccolo popolo dai mille volti, persone di diverse nazionalità, laici, religiosi, consacrate, prelati e poi cardinali, vescovi e arcivescovi. È stato il popolo della Santa Sede — insieme al Papa a servizio della Chiesa — che oggi, 9 giugno, ha vissuto il suo Giubileo.
Si respirava un clima di festa questa mattina nella Città del Vaticano; tanti i dipendenti con i loro familiari, suore con le loro consorelle, gruppi di sacerdoti che dai diversi ingressi del piccolo Stato, attraversando viali e stradine, si sono avviati verso l’Aula Paolo VI, dove nell’atrio era previsto il primo momento: la celebrazione del Sacramento della Riconciliazione.
Diversi presbiteri, di varie lingue, erano disponibili per chi voleva confessarsi. Due le file, composte, che pian piano, silenziosamente, si sono dissolte davanti ai “confessionali”, semplici spazi dove sedevano i confessori con a fianco una sedia.
All’ingresso in Aula si poteva vedere una grande famiglia, variegata. Leone XIV è arrivato poco prima delle 10, ha stretto le mani ad alcune persone con disabilità e ha salutato diversi porporati nelle prime file. Pochi minuti dopo suor Maria Gloria Riva, delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento, ha proposto una meditazione sulla speranza: come tenerla viva? La religiosa — che da dieci anni vive nella Repubblica di San Marino, uno dei piccoli Stati il cui valore «in un mondo globalizzato è oggi preziosissimo» — ha rimarcato che bisogna sforzarsi di essere uomini e donne di pace e unità, pur se si vivono conflitti interiori, di guardare all’Eucaristia e tenere nel tempo le illuminazioni dello Spirito Santo. «Ci salverà la grande bellezza della croce perdente», ha concluso, perché «la speranza sorge laddove le lacrime del dolore e del pentimento fecondano l’animo nell’umiltà e nella novità di vita».
E proprio la Croce è stata protagonista del momento successivo. Al Pontefice è stata consegnata quella lignea dei pellegrinaggi di questo Giubileo. A farlo è stata una giovane volontaria con il gilet verde acceso che permette di individuare quanti svolgono il servizio di accoglienza dei fedeli durante questo Anno Santo. Ed è stato proprio Leone XIV ad aprire la processione verso la basilica di San Pietro, per guidare i cinquemila partecipanti verso la Porta Santa. Dietro di lui l’arcivescovo Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione e organizzatore del Giubileo, e i cardinali intervenuti, tra i quali, Pietro Parolin, segretario di Stato, Giovanni Battista Re, decano del collegio cardinalizio, e Leonardo Sandri, vicedecano. Un percorso diverso da quello di tanti pellegrini che ogni giorno attraversano via della Conciliazione per arrivare alla basilica Vaticana. In preghiera, mentre un coro guida intonava le Litanie dei Santi, tanti dipendenti della Santa Sede hanno lasciato l’Aula Paolo VI, seguendo il Pontefice, e sono passati per l’Arco delle Campane.
Una folla ordinata, che è giunta, poi, in piazza San Pietro, sul sagrato della basilica, per dirigersi all’ingresso. Il passaggio alla Porta Santa è avvenuto in raccoglimento, meditando e pregando. Quindi l’inizio della messa poco dopo, con il Pontefice preceduto dagli ecclesiastici della Curia romana. «Viviamo una giornata speciale» ha sottolineato il vescovo di Roma nella sua omelia. E così l’hanno vissuta in tanti. Una religiosa del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ha cercato di descrivere ai media vaticani l’emozione e la gioia di questo Giubileo della Santa Sede per essersi sentita in famiglia, al di là di una giornata di lavoro. «Ho sentito forte che lavoriamo davvero per la Chiesa, si lavora per la Chiesa e si lavora tutti insieme» ha spiegato. Una giornata storica per una dipendente dei Musei Vaticani, che ha vissuto con la Santa Sede anche il Giubileo del 2000: «È una giornata particolare, di riflessione», ha riconosciuto.
Un ecclesiastico si è soffermato sull’immagine del Papa che ha varcato la Porta Santa, «come il buon pastore, che ha preso la croce e tutti noi dietro a lui, camminando per questo, per varcare, a nostra volta, la soglia della basilica insieme. Questo simbolo veramente è stato bello, emozionante».
Sentimenti analoghi sono stati descritti da una dipendente dell’Opera Romana Pellegrinaggi: «Si è percepita unità — ha confidato la donna — perché ogni singolo ufficio, operativamente a sé stante, è connesso agli altri e lavora in sinergia. Una grande famiglia».