Non solo una tregua

di Roberto Cetera
«Comunque la si guardi non c’è altra via percorribile che l’esistenza di due Stati, indipendenti, liberi e pacifici. E per Gaza non c’è altra soluzione che finire subito la guerra e riprendersi gli ostaggi». L’ex premier israeliano Ehud Olmert non ha esitazioni, in un’intervista concessa ai media vaticani, ad esprimere una narrazione della guerra a Gaza opposta a quella del governo di Benjamin Netanyahu.
Le sue recenti dichiarazioni sui crimini inerenti la conduzione della guerra a Gaza hanno fatto molto scalpore a livello mondiale. Come è arrivato a queste conclusioni?
Io ho accusato l’attuale governo israeliano di commettere crimini a Gaza. Ma non ho tutti gli elementi di analisi per poter affermare che la conduzione della guerra a Gaza, e questi crimini, rientrino nella categoria giuridica dei “crimini di guerra”. Ma non ho dubbi che in questa fase — in questa e non in precedenza — non ci sia, da parte del governo Netanyahu, alcuna reale intenzione di salvare gli ostaggi, e piuttosto che i soli risultati possibili da questa conduzione della guerra non potranno che essere la perdita della vita di ancora altri soldati israeliani, degli ostaggi tuttora nelle mani di Hamas, e di tanti civili palestinesi incolpevoli. E la guerra, in questi termini e in queste circostanze, è oggettivamente un crimine. Questo è il senso delle mie dichiarazioni sul tema. Vorrei aggiungere che un problema analogo si pone in Cisgiordania, dove continuano a verificarsi violenze contro le popolazioni palestinesi da parte dei settlers, senza che la polizia o l’esercito facciano qualcosa per fermarli
Secondo lei quali vie dovrebbero essere ora percorse per arrivare ad un accordo di tregua e poi alla fine della guerra?
Io credo che nell’ambito dei negoziati, condotti con la mediazione di Egitto, Qatar e Stati Uniti, non ci sia altra via da percorrere che quella dell’accettazione della fine della guerra in cambio della liberazione di tutti gli ostaggi, che è poi l’ipotesi che Hamas sarebbe pronta a seguire. Hamas non accetta nessun cessate-il-fuoco temporaneo che non sia seguito dalla definitiva fine della guerra. In cambio di ciò libererebbe tutti gli ostaggi. Mi pare ovvio che ciò non significa piegarsi alle richieste dei criminali di Hamas, ma comprendere che, poiché ormai gli ostaggi sono rimasti il loro unico asset, Hamas non cederà per nulla in meno che la definitiva fine della guerra. Per questo credo che l’unica cosa saggia che ora possiamo fare è dichiarare la fine della guerra e riportare gli ostaggi a casa.
Sembrerebbe che le relazioni tra il governo di Benjamin Netanyahu e l’amministrazione statunitense di Donald Trump non stiano attraversando il momento migliore. Qual è la sua opinione al proposito?
È abbastanza difficile comprendere quale sia al momento lo stato delle relazioni israelo-statunitensi. Trump, lo sappiamo tutti, è un politico abbastanza imprevedibile, di conseguenza è molto difficile crearsi delle aspettative che poggino su basi certe, o sugli standard relazionali del passato. A me sembra, alla luce degli ultimi interventi e per dirla semplicisticamente, che Trump stia dicendo a Netanyahu: «Occhio Bibi, non sono io che lavoro per te, semmai sei tu che lavori per me». Le differenze di comportamenti rilevate ad esempio sulla questione iraniana, mi sembra che dicano questo. Direi che Trump ha una diversa agenda rispetto a Netanyahu. Lo si è visto chiaramente nella recente visita del presidente americano nel Golfo, e gli incontri che ha tenuto con sauditi, qatarini, emiratini e anche col nuovo presidente siriano Al-Sharaa.
In buona parte della società israeliana, e anche tra i soldati riservisti, serpeggia ormai la stanchezza per una guerra senza fine e senza veri risultati. Le manifestazioni contro il governo si moltiplicano. Secondo lei è possibile un cambio di leadership prima della scadenza naturale della legislatura nell’ottobre 2026?
Sì, anch’io credo che ormai la maggioranza degli israeliani sia scontenta di questo governo e di questa guerra senza fine. Fondamentalmente perché nessuno in Israele capisce bene quale sia la strategia perseguita da Netanyahu. Vede, immaginiamo che la campagna militare a Gaza e le irruzioni in Cisgiordania abbiano successo e che tutti i miliziani e i capi di Hamas siano uccisi o costretti alla fuga, e poi? Poi rimane comunque il problema di 5 milioni e mezzo di palestinesi che vivono in quelle terre. Cosa ha in mente Israele per il futuro? Questo è il vero problema. Costringere le popolazioni a lasciare progressivamente le loro terre? Questa è veramente la strategia del corrente governo? Israele, seguendo questa strategia, perderebbe anche quel po’ che è rimasto della sua reputazione e del supporto della comunità internazionale. Cosa vogliamo veramente fare del nostro, e del loro, futuro? Continuare ad occupare le loro terre all’infinito? O vogliamo cambiare orizzonte comprendendo che non c’è altra soluzione che l’esistenza di due Stati vicini e pacifici?