· Città del Vaticano ·

L’arcivescovo Pennacchio sul Festival “Accendiamo la speranza” a Fermo fino all’8 giugno

Per una comunicazione
fatta solo di verità

 Per una comunicazione fatta solo di verità  QUO-128
04 giugno 2025

di Guglielmo Gallone
e Michele Raviart

«Il territorio dell’arcidiocesi di Fermo è un crocevia di frontiere, forte in umanità e spiritualità»: con queste parole l’arcivescovo Rocco Pennacchio descrive lo spirito con cui la diocesi marchigiana ha accolto il Festival della Comunicazione in questa ventesima edizione dell’iniziativa promossa dai Paolini e dalle Paoline. In un’intervista rilasciata ai media vaticani, monsignor Pennacchio ha parlato di una Chiesa che, in un territorio «ricco di arte e di bellezze naturali», si trova oggi a raccogliere la sfida dell’evangelizzazione nel segno dell’incontro, della coerenza e della mitezza. E proprio quest’ultima è il centro attorno a cui ruota il tema scelto per l’edizione 2025 del Festival: “Accendiamo la speranza. Una diversa comunicazione è possibile”. Un tema che nasce dal messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali e che la manifestazione di quest’anno ha voluto declinare come appello a un linguaggio pacato, autentico.

«Nel cuore di ogni uomo — ha sottolineato Pennacchio — c’è il desiderio di una comunicazione diversa, che non sia muscolare né gridata ma capace di toccare le corde più intime della persona». In tal senso la comunicazione «disarmata e disarmante» invocata da Leone XIV al suo esordio come Pontefice è anche una comunicazione che spiazza perché «non è aggressiva, non è muscolare né violenta, diventa disarmante in quanto non corrisponde al modello che uno si aspetta e poi pone degli interrogativi, non nutrendosi di altro se non della verità della comunicazione stessa. Siamo tutti alla ricerca della verità piena, come dice il Signore, facendo più attenzione possibile ai contenuti veri, così da diventare disarmanti».

Il Festival (30 maggio - 8 giugno) vuole essere inoltre un’occasione per riscoprire il legame tra fede e cultura, tra Vangelo e società. In questo quadro il presule ha ricordato come il territorio fermano, affacciato sull’Adriatico, è da sempre un ponte tra mondi: «Già la facciata del duomo di Fermo in pietra d’Istria testimonia una storia di incontri, di manovalanze giunte da oltre mare che hanno contribuito a costruire ciò che oggi siamo. Fermo ha accolto e continua ad accogliere. Ciò spinge anche la Chiesa locale a interrogarsi su una fede che non resti solo identitaria o devozionale ma che parli davvero alla vita concreta delle persone, anche nel confronto con chi ha culture o fedi diverse».

Proprio di questa proiezione geografica, culturale e quindi anche religiosa si è parlato nel pomeriggio di ieri, 3 giugno, nella biblioteca di Porto Sant’Elpidio, in un convegno dal titolo “Nel dialogo la speranza” che, moderato da Viviana De Marco, responsabile del dialogo interreligioso ed ecumenico dell’arcidiocesi di Fermo, e accompagnato dalle note musicali della violinista Snezana Tintor, ha visto la partecipazione del pastore Luis Amado Giuliani, presidente del Consiglio delle Chiese cristiane delle Marche, e di padre Luca Santoro, della Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia (Patriarcato di Costantinopoli). «Il dialogo interreligioso rappresenta la possibilità di portare come umanità il concetto della speranza che diventa fondamento della pace», ha sottolineato De Marco ai media vaticani, aggiungendo come sia «importante la capacità di ascolto, specie con le altre religioni, quindi la valorizzazione del positivo e di tutto ciò che lo spirito ha operato in ogni uomo e in ogni cuore “per vie note a lui solo”, per citare la Gaudium et spes. Non è solo una scelta pastorale o di strategia comunicativa ma significa convertirci allo spirito di Pentecoste che ha gettato i semi del Verbo nel cuore di ogni uomo. Ed è qui, nell’intimo dell’essere umano, come insegna sant’Agostino, che abita Dio». Le ha fatto eco il pastore Giuliani secondo il quale «il segreto sta proprio nel dialogo, che inizia dall’ascolto, dalla disponibilità e dal desiderio. Cominciare a dialogare è il ponte necessario per superare ogni difficoltà, ogni lentezza. Dobbiamo insistere soprattutto su temi specifici dove ancora gelosamente ognuno di noi vuole conservare la propria credenza, non per cambiare ma per far capire all’altro cosa si sta offrendo».

Una necessità ribadita anche da padre Santoro che ritiene «importante che il dialogo non si chiuda come avvenuto in passato. Lo sforzo fatto dal patriarca Atenagora e da Paolo VI è esemplare. Questo semplice atto simboleggia la speranza. Il Patriarcato ecumenico si è sempre fatto portavoce della Chiesa ortodossa per cercare un dialogo con Roma ed è importante che si cerchi un dialogo che sappia valorizzare la nostra storia. Mille anni di storia divisa vuol dire anche mille anni di tradizioni e sviluppi diversi ma in maniera forte stiamo ora cercando di portare il nostro bagaglio teologico affinché si riscopra quella fede in comune. Perché le radici sono comuni. E andare alle radici ci può aiutare a dialogare, a fare casa comune».