· Città del Vaticano ·

Significativa affluenza del 79 per cento per l’elezione del nuovo presidente

La Corea del Sud riparte
da Lee Jae-myung

epa12154147 South Korean President Lee Jae Myung during a press conference at the presidential ...
04 giugno 2025

di Guglielmo Gallone

La Corea del Sud è tornata al voto. E già questa è una notizia perché le elezioni svoltesi martedì 3 giugno sono arrivate dopo mesi di caos istituzionale, una legge marziale dichiarata e poi sconfessata, un presidente destituito e un Paese spaccato.

Due dati su tutti testimoniano questo tentativo di rialzare la testa. Il primo è relativo al vincitore, netto e immediato a differenza dei precedenti appuntamenti elettorali: Lee Jae-myung, candidato del Partito democratico, ha conquistato il 49 per cento delle preferenze, superando il conservatore Kim Moon-soo (41,5 per cento) e il giovane outsider Lee Jun-seok (7,7 per cento). Già poche ore dopo la chiusura dei seggi, il nuovo presidente era pronto ad assumere l’incarico, come prevede la Costituzione in caso di elezione straordinaria, e questa mattina ha prestato giuramento evidenziando che «è meglio vincere senza combattere che vincere combattendo. E la pace senza bisogno di combattere è la miglior forma di sicurezza». Il dato forse più sorprendente è però un altro: l’affluenza ha toccato il 79 per cento, la più alta dal 1997. In un Paese ferito e polarizzato, dove la fiducia nelle istituzioni vacilla, milioni di sudcoreani hanno scelto di riaffermare la propria sovranità attraverso la partecipazione.

Ma chi è Lee Jae-myung? 61 anni, politico navigato, ex sindaco di Seongnam e governatore della provincia di Gyeonggi — la più grande del Paese —, è considerato un riformista pragmatico, con un forte orientamento sociale. La sua carriera è stata segnata da scandali giudiziari — ora sospesi — e da un linguaggio diretto, che gli ha valso l’appoggio di ampi settori popolari ma anche l’opposizione di ambienti conservatori, manifestatesi in un accoltellamento in pubblico nel gennaio 2024 a Busan e in una campagna elettorale sotto minaccia di morte costante. Dopo essersi candidato alla presidenza per ben tre volte e aver perso le elezioni nel 2022 per un solo punto percentuale contro l’ex presidente Yoon Suk-Yeol, le sfide che ora attendono la presidenza Lee sono imponenti.

La società sudcoreana è profondamente divisa, come dimostrato dalle proteste esplose dopo il tentato colpo di stato di Yoon che hanno mostrato un’enorme frattura generazionale tra giovani e anziani, cui si aggiungono il problema demografico (è il Paese con il tasso di natalità più basso al mondo), tensioni settoriali come quella tra medici e governo oppure la questione di genere. Per la prima volta in 18 anni, infatti, le donne sono state assenti dalle elezioni presidenziali. Le minacce che Lee deve affrontare sono quindi sintomi di un malessere più profondo. La polarizzazione politica ha raggiunto livelli estremi. I feed dei social media sono pieni di teorie del complotto, disinformazione e attacchi personalizzati, facendo trasparire un problema di fondo: in Corea del Sud la fiducia nelle istituzioni, dalla presidenza alla magistratura, è diminuita. E queste incognite si riflettono anche sulla questione economica. Lee ha promesso un piano straordinario per stimolare la domanda interna, un fondo da 100 trilioni di won per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e la riattivazione dell’indice borsistico Kospi. Ha garantito, però, che le misure sociali non comprometteranno la stabilità dei conti pubblici, nel tentativo di rassicurare l’elettorato centrista.

Altra questione aperta resta infine quella geopolitica. Sebbene Lee abbia dichiarato di voler rafforzare l’alleanza trilaterale con Stati Uniti e Giappone, non ha mai nascosto la necessità di riequilibrare le relazioni con Cina, Russia e Corea del Nord, con cui oggi Lee ha detto di voler «riaprire un canale di dialogo». Che il rapporto con gli Usa si stia complicando lo dimostrano non solo le parole del presidente Donald Trump su possibili nuovi dazi da applicare persino ai più stretti alleati asiatici e quindi i forti timori da parte della società sudcoreana, ma anche le indiscrezioni sullo spostamento di 4.500 soldati americani dalla Corea del Sud a Guam e il dislocamento di un’unità missilistica Patriot, precettata per intercettare missili nordcoreani, in Medio Oriente senza alcuna consultazione preliminare con il ministero della Difesa di Seoul. Tutto ciò avviene mentre Pyongyang e Mosca rinsaldano invece il loro legame militare, con la Corea del Nord che sta ampliando il proprio arsenale missilistico e disturbando attivamente i segnali Gps lungo il confine.

La coesione interna diviene dunque inevitabile per un’adeguata proiezione esterna in un Paese sì considerato all’avanguardia ma circondato da minacce strategiche. La posta in gioco è il futuro stesso della democrazia sudcoreana: se riuscirà a superare questo momento di crisi oppure se violenza e divisione diventeranno la nuova normalità politica. Perché quando un candidato di spicco come Lee ha avuto bisogno di un giubbotto antiproiettile per fare campagna elettorale, qualcosa è andato storto.