Dialogo e collaborazione

di Giada Aquilino
Un urgente bisogno di riaccendere la speranza, in un mondo dilaniato da guerre, chiusure, individualismi. È l’appello dei partecipanti alla conferenza internazionale “Buddhisti, cristiani, induisti, giainisti e sikh. In dialogo e collaborazione per rinnovare e riaccendere la speranza nei nostri tempi”, organizzata oggi a Roma dal Dicastero per il Dialogo interreligioso e dal Centro studi interreligiosi della Pontificia Università Gregoriana, presso la sede dell’ateneo affidato alla Compagnia di Gesù. L’evento, realizzato in collaborazione con l’Unione induista italiana, l’Unione buddhista italiana, l’Istituto di Jainologia e la Sikhi Sewa society, è una nuova tappa di quel cammino intrapreso in Italia nel 2018 tra le cinque realtà, nello spirito della dichiarazione conciliare Nostra Aetate, di cui quest’anno ricorre il 60° anniversario.
Dopo l’accensione della lampada tradizionale indiana, i saluti di padre Giuseppe Di Luccio, presidente del Collegium Maximum della Gregoriana, un momento di silenzio in memoria di Papa Francesco e un ringraziamento a Papa Leone XIV, proprio al documento del Vaticano II ha fatto riferimento in apertura dei lavori il cardinale George Jacob Koovakad, Prefetto del Dicastero per il Dialogo interreligioso. Il porporato ha ricordato come dalla sua promulgazione nel 1965 la Nostra Aetate abbia «ispirato e guidato i cristiani e gli altri a costruire ponti di amicizia e a promuovere la collaborazione e la comunione con le persone di tutte le religioni, per il vero bene di ogni persona e della società nel suo insieme». Una delle maggiori preoccupazioni del nostro tempo, ha constatato il cardinale Koovakad, «è la perdita di speranza delle masse» causata da povertà, disoccupazione, malattie, disastri, conflitti, ma anche devastazione dell’ambiente, discriminazioni, ingiustizie, divisioni e violenze «in nome dell’appartenenza etnica, della religione e della nazionalità», mentre si diffonde un senso crescente «di indifferenza nei confronti dei legittimi bisogni, dei diritti e delle aspirazioni di altre persone e nazioni» e «l’annessa disumanità nei confronti delle sofferenze dei loro simili». Di fronte a «un senso di disperazione accompagnato da pessimismo e cinismo» il ruolo dei credenti, ha aggiunto, è appunto quello di «rinnovare e riaccendere la speranza nelle menti e nei cuori delle persone», secondo una «responsabilità collettiva».
Per Franco di Maria Jayendranatha, presidente dell’Unione induista italiana, il dialogo è «una necessità comune a tutti»: il «più produttivo» è proprio quello degli incontri «tra persone di fedi diverse, che si scambiano opinioni» secondo un’esperienza «che non può che unire». Per «costruire» la pace, ha affermato, bisogna però «partire dai problemi», da «un’analisi lucida» di essi: ha citato gli antagonismi di oggi, quelli tra Stati Uniti, Russia, Cina, Europa, proiettati in un quadro più ampio di questioni che «minano le fondamenta del nostro mondo», dal capitalismo alla tecnica «che non ha più un’etica ma solo scopi». Della medesima comunità anche la monaca induista Svamini Shuddhananda Ghiri, che ha esortato a quella speranza vista come «un invito ad agire consapevolmente verso il bene comune» e a «ricuperare i valori di umanità che sono trasversali a tutte le fedi».
Filippo Scianna, presidente dell’Unione buddhista italiana, ha fatto notare come la speranza oggi sia «un bene che scarseggia»: riscoprire «insieme» come custodirla e riaccenderla «è un atto di cura nei confronti dell’umanità». L’invito è stato quello di «tornare a riflettere, in un mondo fatto di assenza di silenzio». Ai microfoni dei media vaticani, Scianna ha spiegato che «stiamo vivendo tempi di grande rumore, di grande frastuono, in cui sta mancando il tempo dell’ascolto di sé, dell’altro, del vuoto come condizione per potere avere tempi umani di riflessione, di analisi, di approfondimento». La speranza dunque «non può che affondare le proprie radici nell’ascolto, nel dialogo, nella riflessione che diventa riflessione con sé e con l’altro».
Mehool Sanghrajka, dell’Institute of jainology di Londra ha inviato un messaggio alla conferenza, spiegando come per i giainisti la vita sia «sacra» e la speranza implichi «comprendere il karma, che modella la vita, l’ambiente e le circostanze future».
Gursharan Singh, segretario del Sikhi Sewa society, ha evidenziato la crucialità del dialogo, perché «in un mondo attraversato da guerre, divisioni, crisi ambientali, ritrovarci — ha sottolineato — è come una fiammella nella notte. La via della pace — ha dichiarato — passa attraverso l’ascolto, il rispetto e il servizio reciproco», «lasciandoci toccare delle parole degli altri e portando nelle nostre comunità segni di luce». Con lui, anche Bismay Singh, portavoce dei giovani della Sewa society, che in una conversazione a margine ha voluto mettere in luce come grazie al dialogo «ci si illumina», spingendo ciascuno a non guardare gli altri come persone «estranee».