
di Andrea Monda
“Ah, i bei tempi di una volta!”. Ognuno di noi conosce qualcuno che avrà usato espressione come questa o simili. Oppure, per essere ancora più sinceri, a ognuno di noi sarà capitato di fare discorsi del genere, dobbiamo riconoscerlo. Di laudatores temporis acti è pieno il mondo, basta salire su un autobus o entrare in un bar e sarà facile incontrare qualcuno che si metterà a lodare i tempi passati. L’espressione latina risale a Orazio che nell’Ars poetica attribuisce questa qualità agli anziani, considerandola, insieme con altre, uno dei tanti malanni da cui è afflitta l’età senile; in realtà l’espressione completa è laudator temporis acti se puero («lodatore del tempo passato, quando egli era fanciullo»). Questa tentazione della nostalgia del tempo andato è davvero un malanno, e non solo dell’età senile. “Indietrismo” la definiva Papa Francesco parlando di questa tentazione di non voler guardare avanti nel cammino della propria vita ma fissarsi su un passato mitizzato che si vorrebbe a tutti i costi ripristinare. Ma è un’illusione: il carattere della vita sta proprio nella sua irreversibilità per cui è semplicemente impossibile riprodurre un’esperienza che in quanto tale è unica e irripetibile. Tutto scorre, panta rei e nessuno si bagna due volte nello stesso fiume come affermava già nel vi secolo a.C. il filosofo Eraclito; eppure c’è nell’uomo la tentazione di vedere la storia del mondo come un processo di corruzione, un progressivo degradare, un più o meno lento degenerare di tutte le cose. Se già la saggezza greca e latina metteva in guardia da questa tentazione, ancora di più lo fa il cristianesimo. Il cristiano il “lusso” della nostalgia non se lo può permettere.
Nel discorso per la sua prima udienza pubblica, quello ai giornalisti del 12 maggio scorso, Papa Leone citando sant’Agostino ricordò il compito del cristiano di sfuggire questo rischio che definisce della “mediocrità”: «Viviamo tempi difficili da percorrere e da raccontare, che rappresentano una sfida per tutti noi e che non dobbiamo fuggire. Al contrario, essi chiedono a ciascuno, nei nostri diversi ruoli e servizi, di non cedere mai alla mediocrità. La Chiesa deve accettare la sfida del tempo e, allo stesso modo, non possono esistere una comunicazione e un giornalismo fuori dal tempo e dalla storia. Come ci ricorda sant’Agostino, che diceva: “Viviamo bene e i tempi saranno buoni” (cfr Discorso 311). Noi siamo i tempi».
Il rapporto con il proprio tempo non può essere per il cristiano un rapporto passivo, rassegnato, ma responsabile. In un altro dei suoi “Discorsi” da vescovo, sempre sant’Agostino mette in guardia il suo popolo dei fedeli ricordandogli che «tutte le volte che sopportiamo angustie o tribolazioni, queste costituiscono per noi un avvertimento e nello stesso tempo un mezzo per correggerci. Infatti anche la Sacra Scrittura non ci promette pace, sicurezza e tranquillità; anzi il vangelo non ci nasconde le tribolazioni, le angustie e gli scandali. Assicurò però che “chi persevererà sino alla fine, sarà salvato” (Mt 10,22). Dal primo uomo non avemmo alcun bene, anzi ereditammo la morte e la maledizione, da cui doveva venire Cristo a liberarci. Perciò non lamentiamoci e non mormoriamo, o fratelli. Ce ne mette in guardia anche l’Apostolo dicendo: “Mormorarono alcuni di essi, e caddero vittime dello sterminatore” (1Cor 10,10). Che cosa di nuovo e insolito, o fratelli, patisce ai nostri tempi il genere umano, che non abbiano patito i nostri padri? Anzi possiamo noi affermare di soffrire tanto e tanti guai quali dovettero soffrire loro? Eppure troverai degli uomini che si lamentano dei loro tempi, convinti che solo i tempi passati siano stati belli. Ma si può essere sicuri che se costoro potessero riportarsi all’epoca degli antenati, non mancherebbero di lamentarsi ugualmente. Se, infatti, tu trovi buoni quei tempi che furono, è appunto perché quei tempi non sono più i tuoi. […] Perché allora credi che i tempi passati siano stati migliori dei tuoi? Considera bene che il primo Adamo sino all’uomo odierno non s’incontra se non lavoro, sudore, triboli e spine. Cadde forse su di noi il diluvio? Son venuti forse su di noi tempi tanto terribili di fame e di guerre, come una volta e tali da giustificare il nostro lamento contro Dio a causa del tempo presente? Pensate dunque che sorta di tempi erano quelli. Sentendo o leggendo la storia di quei fatti, non siamo forse rimasti inorriditi? Perciò abbiamo piuttosto motivo di rallegrarci, che di lamentarci dei nostri tempi».
In effetti, senza provare a fare raffinata teologia, è evidente che almeno in Occidente la qualità della vita di oggi sia senz’altro superiore a quelle dei nostri nonni e dei nostri bisnonni, ma non c’è niente da fare, il nostro sguardo resta comunque “retroflesso” e il nostro parlare lamentoso e piagnucoloso. Da questo atteggiamento si deve discostare il cristiano, è la sua fede in Gesù che glielo impone. Ha colto nel segno il poeta francese Charles Péguy, quando scrisse nell’opera Vèronique queste parole: «C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani, in quel culmine della dominazione romana. Ma Gesù non si sottrasse affatto. Non si ritirò affatto. Non si rifugiò affatto dietro i mali dei tempi […] non perse i suoi tre anni, non li usò per piagnucolare e accusare la cattiveria dei tempi[…] Lui tagliò corto. Oh, in un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Non incriminò, non accusò nessuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo». E così come Gesù è chiamato a comportarsi il cristiano, che per forza deve essere alieno dal rischio della nostalgia e pensare alla fine con quella speranza radicale che spingeva Teilhard de Chardin ad affermare che «l’avvenire è migliore di tutti i nostri passati».
C’è una frase che viene riportata sul Web che suona così: «Questa gioventù è malandata fino al fondo del cuore. I giovani sono malfattori e oziosi. Non saranno mai come la gioventù di un tempo. La gioventù di oggi non sarà mai capace di mantenere la nostra cultura». La didascalia che accompagna questa sentenza dice che è stata trovata su un coccio di argilla tra le rovine di Babilonia e quindi risale al 2000 a.C. circa. Ma del Web non ci si può fidare, potrebbe essere una notizia falsa... Ah, i bei tempi di una volta!