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Cessate-il-fuoco prorogato di un altro mese

Myanmar: l’Asean
tenta una mediazione

 Myanmar: l’Asean  tenta una mediazione  QUO-126
02 giugno 2025

di Paolo Affatato

L’Associazione delle nazioni del Sudest asiatico (Asean) ci riprova per una mediazione nel conflitto in Myanmar. E la giunta militare proroga la tregua post-sisma. L’Asean, di cui il Myanmar è membro, già quattro anni fa aveva proposto un piano in cinque punti per una tregua e una progressiva pacificazione del paese dilaniato da una guerra civile dopo il colpo di Stato militare del febbraio 2021. Tuttavia l’organizzazione si era scontrata con un fattore strutturale, ovvero l’impegno politico comune di non interferenza negli affari interni dei vari stati membri, uno dei principi dell'associazione che, avviata sulla base degli scambi commerciali, viene accostata al modello di integrazione iniziale dell'Unione Europea.

Con l’aggravarsi del conflitto in Myanmar, è aumentata la pressione internazionale affinché l’Asean tentasse di ricoprire un ruolo attivo nella risoluzione del conflitto. Nel 2023, la presidenza dell’Asean era appannaggio dell’Indonesia, che aveva offerto il proprio impegno diplomatico, e nel 2024 è stata la volta del Laos, ma non si sono registrati progressi concreti sul campo. Un passo avanti è stato raggiunto quando si è riusciti a convincere il governo militare del Myanmar a consentire l’assistenza umanitaria alle vittime del conflitto, ma questa misura è ritenuta dagli osservatori largamente insufficiente. Ora a livello diplomatico, si registra una nuova iniziativa nell’ambito dell’Asean: la Malaysia, che attualmente ha la presidenza di turno, ha chiesto di prolungare il-cessate-il-fuoco post-terremoto in Myanmar, intensificando la richiesta per attuare un processo di pace. In un comunicato rilasciato in occasione del vertice del 27 maggio, l’Asean, dichiarandosi pronta ad «assistere il Myanmar, per una soluzione pacifica e duratura» e ribadendo la volontà di attuare il piano in cinque punti ha esortato le parti in lotta «a cessare immediatamente gli atti di violenza contro i civili».

Il 31 maggio, giorno di scadenza del cessate-il-fuoco proclamato all’indomani del sisma, ha prorogato la tregua fino al 30 giugno, al fine di «agevolare le attività di riabilitazione e ricostruzione nelle zone colpite dal terremoto», si legge in una nota ufficiale. Secondo la dichiarazione, il cessate il fuoco consentirebbe inoltre al Paese di tenere «elezioni generali libere, eque e democratiche, multipartitiche», un fatto che le opposizioni e gli osservatori contestano in quanto il paese, dopo quattro anni di conflitto, è diviso tra zone controllate dall’esercito e aree controllate dalla resistenza.

Intanto un nuovo rapporto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani rileva la crescente crisi dei diritti umani in Myanmar, alimentata dalla violenza militare, dall’impunità sistemica e dal collasso economico, che «lascia i civili intrappolati nel fuoco incrociato di un conflitto sempre più brutale». Pubblicato in vista della prossima sessione del Consiglio per i diritti umani (prevista agli inizi di luglio), il rapporto evidenzia il peggioramento della situazione definita «sempre più catastrofica, segnata da atrocità incessanti che hanno colpito ogni singolo aspetto della vita». Il documento riporta che, nel 2024, le operazioni militari hanno il record di uccisioni di civili mentre la crisi economica ha avuto un notevole impatto sulle già disastrose condizioni umanitarie. Si stima che l’economia del Myanmar abbia perso circa 94 miliardi di dollari dal colpo di stato a oggi e si prevede che il prodotto interno lordo non tornerà ai precedenti livelli di crescita prima del 2028, se la ripresa iniziasse oggi. Il rapporto sollecita «una risposta multiforme alla crisi», che includa «un urgente sostegno umanitario, aiuti transfrontalieri per le popolazioni sfollate e un maggiore impegno politico» della comunità internazionale. Chiede, inoltre, di mettere in moto attraverso meccanismi di giustizia internazionale, come deferimenti alla Corte penale internazionale.

In tale scenario, le voci dei cattolici birmani elevano e ripetono un accorato appello alla pace. Stephen Chit Thein, sacerdote bimano e direttore delle Pontificie Opere Missionarie in Myanmar, ha detto all’agenzia Fides: «Continuiamo a sperare anche grazie alle parole e agli appelli che giungono dalla Santa Sede, che ci mostra profonda vicinanza». I fedeli ricordano e ringraziano Papa Francesco «che tante volte ha citato il Myanmar e ci ha sempre tenuti nel cuore». E notano: «Anche Papa Leone XIV ha ricordato alla comunità internazionale la sofferenza del Myanmar e ha lanciato un appello di pace. Noi speriamo che possa continuare a parlare di noi e a parlare di pace, perchè la comunità intenzionale non ci dimentichi».