La terra promessa

di Roberto Cetera
«I profeti dei tempi antichi di tutte e tre le religioni monoteiste sono considerati tali perché dalle loro bocche uscivano solo parole di perdono, di misericordia, di riconciliazione, di giustizia e di pace. Nessuno di loro ha mai avuto parole che incitassero alla violenza, alla vendetta, alla guerra. Quando lo scorso anno abbiamo incontrato a Verona Papa Francesco abbiamo avuto la sensazione di trovarci dinanzi ad un profeta dei nostri giorni. Perché nelle parole, ma anche negli abbracci che ci ha riservato, emanava quella luce che è il segno della profezia. E ieri mattina, ascoltando Papa Leone, abbiamo avuto la medesima sensazione». Maoz Inon, israeliano, attivista per la pace, ha partecipato ieri mattina con il suo collega e «fratello» palestinese, Aziz Abu Sarah, all’incontro nella Sala Clementina in Vaticano, che Papa Leone XIV ha riservato ai promotori dell’“Arena della Pace” di Verona, guidati dal pastore della diocesi scaligera, mons. Domenico Pompili. Lo scorso anno all’evento dell’“Arena della Pace” aveva partecipato a Verona anche Papa Francesco, che in quell’occasione aveva conosciuto e calorosamente abbracciato i due attivisti. Il vescovo Pompili aveva proposto a Papa Francesco di restituire la visita in Vaticano in occasione del suo primo anniversario e, pur dopo la scomparsa del Pontefice, Papa Leone ha voluto confermare l’impegno assunto dal suo predecessore. All’udienza hanno partecipato diverse decine di fedeli veronesi e personaggi della chiesa e della società civile, tra cui il padre Alex Zanotelli con una folta delegazione di comboniani, don Luigi Ciotti, il vescovo Claudio Giuliodori e il sindaco di Verona Damiano Tommasi. Al termine dell’udienza Aziz e Maoz hanno raggiunto, insieme al vicario della Custodia di Terra Santa, padre Ibrahim Faltas, la nostra redazione. «Sono nato e cresciuto in un piccolo kibbuz vicino a Gaza — inizia il racconto di Maoz — lì dove, insieme ad altri miei amici, mio padre e mia madre sono stati uccisi il 7 ottobre. Un dolore atroce.. Qualche giorno dopo feci un sogno: la visione che il mio dolore fosse il dolore di tutta l’umanità e che essa piangesse insieme a me. Ma le copiose lacrime che tutti insieme versavamo divenivano acqua che puliva il sangue che era stato sparso sulla nostra terra in più di 70 anni di guerra. E la purificava. Sentii da quella visione che la sola strada possibile era quella della pace e della riconciliazione. E fu la strada che intrapresi». Anche quella di Aziz è una storia di dolore e di perdono. «Durante la seconda Intifada mio fratello, che aveva solo 18 anni, venne arrestato. Fu ucciso dalle torture a cui lo sottoposero i carcerieri israeliani. Per anni non feci altro che coltivare sentimenti di rabbia violenta e desideri di vendetta. Ma erano sentimenti che accrescevano in me la sofferenza e la frustrazione. Solo dopo tanto lavoro su di me intrapresi anche io la strada del perdono. Non perché gli assassini di mio fratello lo meritassero, ma perché mi faceva stare bene. Riconciliarsi con loro era un riconciliarsi con me stesso. Attraverso il perdono mi sono liberato». Come vi siete conosciuti? «Quando hanno ucciso i miei genitori, il primo a farmi le condoglianze fu Aziz. Fino ad allora ci eravamo solo incrociati sui social. Capii da quel messaggio che non c’era altra strada che il riconoscimento della sofferenza reciproca attraverso il dialogo. Da allora considero Aziz non un amico ma un fratello». E ora siete insieme impegnati nel movimento per la pace in entrambi i popoli; anzi dopo l’incontro con Papa Francesco lo scorso anno ne siete diventati un po’ le icone. Nelle scorse settimane avete organizzato un Summit per la pace a Gerusalemme a cui hanno partecipato migliaia di persone. «Sì, entrambi lavoriamo nel settore del turismo, con una visione etica del viaggiare e del conoscere terre e popoli, ma ormai la nostra attività principale è suscitare occasioni possibili di conoscenza, di dialogo e di pace tra israeliani e palestinesi — spiega Maoz. Sarà un processo lungo, non ci facciamo illusioni, ma la storia alla fine ci darà ragione. Vedi, alla fine della seconda Guerra mondiale era inimmaginabile che potesse esserci una qualche relazione tra un ebreo e un tedesco. Oggi le relazioni di amicizia tra i due popoli sono indiscutibili. Lo stesso sarà tra israeliani e palestinesi. Dobbiamo coltivare la speranza con parole di pace». «C’è nella storia politica recente un grande equivoco, quello che sia possibile “gestire” i conflitti, dando tempo al tempo — aggiunge Aziz. Io credo che sia sbagliato. Bisogna agire e agire subito nel senso del dialogo e della riconciliazione. Perché se le situazioni immarciscono l’esito può essere catastrofico. Se le società israeliana e palestinese hanno conosciuto una involuzione polarizzante è proprio perché si sono lasciate sospese per troppo tempo le possibili soluzioni». «Sì — gli fa eco Maoz — nella società israeliana è prevalsa per troppo tempo la narrazione di un conflitto “sotto controllo”, quasi scomparso alla quotidianità. Anche per questo lo choc emotivo del 7 ottobre è stato così duro». Il padre Ibrahim Faltas interviene nella conversazione aggiungendo: «È una soddisfazione enorme per me assistere a questo dialogo tra un giovane palestinese e un giovane israeliano. Ciò che loro fanno è la sola vera strada praticabile per una pace duratura tra i due popoli. Occorre innanzitutto conoscersi. È quello che io cerco di fare da ormai più di 20 anni mettendo insieme in tanti progetti ed attività studenti israeliani e palestinesi. Anche tramite viaggi insieme all’estero». Nelle passate settimane in occasione della scomparsa di Papa Francesco avete entrambi scritto dei pensieri molto belli su di lui. «Ricorderò tutta la vita — dice Aziz — quell’abbraccio inaspettato e potente. Ci strinse a lui come un padre che ritrova dei figli». E per te Maoz? «Dicevo prima della sua carica profetica, di quella luce che emanava e che rischiara il nostro cammino in un mondo dominato oggi dalle oscurità. Pensavo a Mosè, anch’egli era una luce che illuminava il cammino del mio popolo. Io penso che se saremo capaci di seguire la luce accesa da Papa Francesco, sotto la guida di Papa Leone, potremo a differenza di Mosè entrare in una nuova terra promessa. Promessa di pace per tutti quelli che la abitano. Tutti».